Bruxelles – Deve spendere circa 400 miliardi l’anno per importare energia dall’estero, ha mercati e politiche scarsamente integrati, strutture che invecchiano, e costringe i suoi cittadini a pagare bollette anche doppie rispetto a quelle di chi vive negli Stati Uniti. Quella dell’energia è un’Europa ancora debole e frammentata. Lo era senza dubbio nel 2014, quando Jean-Claude Juncker è stato eletto presidente della Commissione europea, lo sarà forse un po’ meno alla fine del suo mandato, visto che combattere la frammentazione del mercato energetico europeo e garantire ai cittadini un’energia sicura, sostenibile e a prezzi accessibili è una delle dieci priorità su cui l’attuale esecutivo comunitario ha deciso di puntare. “Purtroppo gli attuali eventi geopolitici ci hanno ricordato che l’Europa dipende eccessivamente dalle importazioni di combustibile e di gas. Per questo motivo è mia intenzione riformare e riorganizzare la politica energetica europea per creare una nuova Unione europea dell’energia”, aveva annunciato Juncker davanti al Parlamento europeo, presentando i suoi orientamenti politici prima di essere eletto presidente della Commissione europea il 15 luglio 2014.
L’idea è quella di fare in modo che l’energia possa fluire liberamente nell’Ue attraverso i confini nazionali, ma anche promuovere nuove tecnologie e misure per l’efficienza energetica che riducano le bollette domestiche dei cittadini e creino nuovi posti di lavoro, tentando contemporaneamente di trasformare l’Europa in un’economia sostenibile a basse emissioni di carbonio e leader nella produzione di rinnovabili. Un programma quantomeno ambizioso, ma che si potrà arrivare a realizzare, secondo la Commissione europea, lavorando su cinque settori strettamente collegati tra loro.
Per prima cosa occorre rendere l’Ue meno vulnerabile alle crisi energetiche esterne: oggi l’Europa è il più grande importatore a livello mondiale, visto che acquista dall’esterno il 53% dell’energia che utilizza. Una situazione particolarmente rischiosa visto che il principale fornitore sia di petrolio greggio sia di gas naturale dell’Europa rimane la Russia, con cui i rapporti, dopo la crisi ucraina e le sanzioni economiche imposte da Bruxelles, rimangono tutt’altro che semplici. Per questo piace poco a Bruxelles il progetto del Nord Stream 2 e cioè il raddoppio del gasdotto sottomarino Russia-Germania, che taglierebbe fuori Polonia e Ucraina, che la Germania continua a sostenere nonostante le tensioni con Mosca e l’ostilità di diversi Stati Ue, Italia in testa. Nella giusta direzione, quella di diversificare i fornitori, va invece il progetto del cosiddetto Tap (Trans Adriatic Pipeline), progettato per portare il gas dall’Azerbaijan fino in Puglia, passando per Turchia, Grecia e Albania di cui sono stati recentemente inaugurati i lavori di costruzione in Grecia. Per rimediare alla fragilità del sistema, la Commissione ha anche proposto di passare da un approccio nazionale a uno regionale nella definizione delle misure di sicurezza dell’approvvigionamento, introducendo un principio di solidarietà tra gli Stati membri per garantire che, anche in caso di gravi crisi, non ci siano interruzioni dei flussi di energia per le famiglie e per i servizi sociali essenziali, come quelli sanitari.
Ma l’esecutivo Ue punta anche ad aumentare la trasparenza degli accordi intergovernativi firmati dagli Stati membri con i Paesi terzi. Per questo è stato introdotto un controllo di compatibilità ex ante, per verificare la conformità alla normativa sulla concorrenza e alla legislazione sul mercato interno dell’energia prima che gli accordi siano negoziati e firmati. Gli Stati dovranno tenere pienamente conto dell’opinione della Commissione prima di concludere gli accordi. Sempre per diminuire la vulnerabilità dell’Ue alle crisi energetiche, la squadra di Jean-Claude Juncker lavora per migliorare l’accesso di tutti gli Stati membri al gas naturale liquefatto (Gnl) come fonte alternativa di gas: il Gnl oggi importato soddisfa circa il 43% della domanda ma con notevoli disparità tra Stato e Stato. È poi in corso il dibattito sull’opportunità di importare in Europa il gas di scisto prodotto dagli Stati Uniti.
Seconda area che la Commissione europea ritiene centrale per dare vita all’Unione dell’Energia è il completamento del mercato interno. Si tratta di permettere all’energia di fluire liberamente attraverso l’Ue, senza barriere tecniche o regolatorie. In luglio gli Stati membri hanno convenuto di investire in 20 progetti di infrastrutture energetiche transeuropee e nel corso del mese di novembre la Commissione ha adottato un elenco di altri 195 progetti chiave di infrastrutture energetiche. L’esecutivo comunitario ha anche presentato una comunicazione sulle modalità per conseguire l’obiettivo del 10% di interconnessione elettrica in tutti gli Stati membri entro il 2020 e cioè il target secondo cui ogni Stato membro dovrà disporre di cavi elettrici che consentano di trasportare oltre confine verso gli Stati membri almeno il 10% dell’energia elettrica prodotta dalle proprie centrali. Ventidue Paesi sono già sulla buona strada per raggiungere l’obiettivo, ma in determinate regioni servono ulteriori interconnessioni.
Con un marcato davvero interconnesso, tra i fornitori potrà esserci vera concorrenza e più possibilità di scelta per il consumatore che nell’Unione dell’Energia assumerà un nuovo ruolo. L’esecutivo Ue ha proposto un “new deal” per i consumatori di energia, puntando ad aiutarli a risparmiare denaro ed energia grazie a una migliore informazione, conferendo loro un margine di scelta più ampio in materia di partecipazione ai mercati dell’energia e mantenendo il massimo livello di protezione. Bruxelles ha anche proposto di rivedere la direttiva sull’etichettatura energetica tornando all’originaria scala da A a G, più semplice e comprensibile per consentire ai consumatori scelte più informate. Necessaria, secondo la Commissione, anche una radicale trasformazione del sistema elettrico dell’Ue: per questo è stata lanciata una consultazione pubblica su come questo dovrebbe configurarsi.
Per moderare la domanda di energia, fondamentale anche il miglioramento dell’efficienza energetica. L’Ue dovrebbe adoperarsi per conseguire l’obiettivo, fissato dal Consiglio europeo nell’ottobre 2014, di un risparmio energetico pari almeno al 27% entro il 2030. Le misure previste dalla Commissione Ue comprendono l’aumento dell’efficienza energetica nel settore dell’edilizia, in particolare migliorando i sistemi di riscaldamento e raffreddamento, e la diminuzione delle emissioni e del consumo di carburante nel settore dei trasporti. Ma la strategia dell’Unione dell’Energia si fonda anche sull’ambiziosa politica climatica dell’Ue, basata sull’impegno di ridurre le emissioni di gas a effetto serra interne di almeno il 40% rispetto al 1990. Obiettivo fissato dall’Ue in vista della conferenza di Parigi sul clima dello scorso dicembre, durante la quale 195 Paesi hanno adottato il primo accordo giuridicamente vincolante per contrastare i cambiamenti climatici, riducendo le emissioni di gas a effetto serra e mantenendo l’aumento della temperatura mondiale “ben al di sotto” dei 2°C rispetto ai livelli del periodo preindustriale. Come primo passo verso l’attuazione di questi impegni, a luglio 2015 la Commissione ha proposto una revisione del sistema di scambio delle quote di emissione dell’Ue per il periodo successivo al 2020, così da garantire che il sistema possa svolgere un ruolo di primo piano nella riduzione delle emissioni di gas a effetto serra nel prossimo decennio. La proposta comprende tre elementi chiave: maggiore rapidità nei tagli delle emissioni dopo il 2020, norme più mirate per l’assegnazione gratuita di quote di emissione all’industria per salvaguardare la competitività internazionale, aumento dei finanziamenti per l’innovazione a basse emissioni di carbonio e modernizzazione del settore energetico. A luglio 2016, la Commissione ha anche proposto obiettivi annuali vincolanti per gli Stati membri in materia di emissioni di gas a effetto serra per il periodo 2021-2030 nei settori dei trasporti, dell’edilizia, dell’agricoltura, dei rifiuti, dell’uso del suolo e della silvicoltura. L’esecutivo Ue ha poi presentato una strategia sulla mobilità a basse emissioni, che pone le basi per lo sviluppo di misure a livello Ue per veicoli con emissioni ridotte o nulle e per combustibili alternativi a basse emissioni.
Al centro dell’Unione dell’Energia la Commissione europea vorrebbe mettere anche ricerca e innovazione, sostenendo le novità nel campo delle tecnologie a basso tenore di carbonio, coordinando la ricerca e contribuendo a finanziare progetti in partenariato con il settore privato. L’obiettivo è quello di portare l’Unione ad occupare una posizione di primo piano nelle tecnologie delle reti e delle case intelligenti, dei trasporti puliti, dei combustibili fossili puliti e della generazione nucleare più sicura al mondo. Il nuovo approccio alla ricerca e all’innovazione nel campo dell’energia si fonderebbe sul programma Orizzonte 2020 e dovrebbe accelerare la trasformazione del sistema energetico. Il settore dell’energia è anche quello in cui fino ad ora è stata finanziata la maggior parte dei progetti sostenuti dal piano Juncker: il 29% dei fondi disponibili è andato finora a questo settore.
Quello verso la realizzazione di una vera Unione dell’Energia è un cammino iniziato, ma certamente ancora lungo. Il punto sui progressi compiuti e su quelli ancora da compiere è stato effettuato a novembre dallo “State of the Energy Union”, con cui la Commissione europea ha esaminato i passi fatti negli ultimi nove mesi e ha individuato i principali settori di intervento per il 2016. La relazione ha dimostrato che, oltre alla decarbonizzazione e alla sicurezza energetica, la strategia dell’Unione dell’Energia sta fornendo risultati in materia di efficienza energetica, mercato interno dell’energia, ricerca, innovazione e competitività, ma ha allo stesso tempo riconosciuto che resta ancora molto da fare per raggiungere pienamente gli obiettivi fissati.
A realizzarli concretamente contribuirà la politica di coesione Ue: oltre 110 miliardi di euro sono stati messi a disposizione attraverso i fondi strutturali e di investimento europei. L’importo è stato destinato al finanziamento dell’economia a basse emissioni di carbonio, al sostegno per investimenti connessi al trasporto efficiente sotto il profilo energetico, e a sovvenzioni in favore di infrastrutture energetiche intelligenti su più vasta scala.