Bruxelles – Parlava e sembrava che suo nonno l’ascoltasse. Lei è Enrica Buccione, nipote di Cesare Di Berardino, un minatore italiano morto l’8 agosto del 1956 con altri 135 italiani e 262 lavoratori nella tragedia Bois du Cazier a Marcinelle. In qualche modo era come se ieri insieme a Enrica fosse presente anche lui all’inaugurazione della mostra di fotografie “The wood of memories. Marcinelle beyond the tragedy” di Max Pelagatti, giovane artista italo-giapponese.
La mostra è una raccolta di 24 istantanee che raccontano attraverso i ricordi delle donne della famiglia che Cesare lasciò sole dopo la tragedia, la vita a Marcinelle, tra le baracche di lamiera e legno costruite per i lavoratori italiani, le memorie di un’esistenza da ricostruire dopo quel maledetto 8 agosto del 1956.
La mostra in esposizione al Comitato economico e sociale europeo (Cese) a Bruxelles fino al 14 ottobre, costituisce uno dei tanti eventi che Enrica Buccione, nipote di Cesare, organizza da anni per ricordare suo nonno e i tanti minatori e migranti di Marcinelle, anche attraverso l’associazione culturale “Elle Elle – Lingua e Linguaggi” da lei fondata. La memoria, per una volta, non passa attraverso le vesti ufficiali e le manifestazioni di ricordo collettivo, ma attraverso l’intimità di una famiglia, quella di Cesare, e in particolare delle donne, solitamente marginalizzate dalla storia di Marcinelle, ma che sono state vie di trasmissione privilegiata della memoria di quei giorni.
Donne come Martina Buccione, sorella di Enrica, che ha scritto il libro “La nostra Marcinelle. Voci al femminile”, sui dialoghi tra la madre di Martina, Santina, figlia di Cesare, sua sorella Pia e la zia Lucia, che nella tragedia perse il marito. Ricordi che tornano nelle fotografie di Max Pelagatti, marito di Enrica Buccione, che invece ha scritto il racconto del dopo Marcinelle in immagini di vita quotidiana. Una vita dura, difficile, da straniero, ma anche piena di piccoli momenti felici e pieni di solidarietà soprattutto tra emigranti italiani.
Tra le memorie presenti nel cuore di queste donne il racconto del padre alle figlie su dei canarini, piccoli uccelli che i minatori portavano con sé in una gabbietta. Gli uccellini servivano a individuare la presenza del grisù, il gas inodore, incolore ed potenzialmente esplosivo, di cui erano piene le miniere. I canarini servivano a capire se c’era pericolo anche per i minatori. Se questi piccoli uccelli mostravano segni di soffocamento allora significava che anche i minatori dovevano preoccuparsi. L’immagine in bianco e nero in cui si vede una gabbia per uccelli racconta di quanto la vita di questi minatori fosse precaria e in costante pericolo di vita.
Eppure quel carbone tanto pericoloso, era anche tanto prezioso. Lo spiega bene la foto “Plat du jour”, piatto del giorno, in cui alcuni pezzi di nero carbone sono messi in un piatto accanto a un coltello e una forchetta. Un’immagine cristallina che riproduce la frase che Lucia, moglie di Santino di Donato e cognata di Cesare era solita ripetere nei suoi racconti su Marcinelle: “Il carbone ci dava da mangiare”.
Cesare era emigrato in Belgio nel 1946, partito da un piccolo comune abruzzese, Manoppello. Fu tra i primi ad andare a lavorare nelle miniere belghe e seguire gli inviti delle autorità italiane che nei famosi manifesti con cui avevano tappezzato l’Italia promettevano lavoro e benessere. La promessa nasceva dall’accordo italo-belga con cui l’Italia si impegnava a inviare forza lavoro in cambio di carbone a prezzi economici.
Eppure, “Cesare era prima di tutto un padre, un marito e poi era un minatore”, ha detto il fotografo Pelagatti, “solitamente invece si parla prima della tragedia, del minatore e non si parla della famiglia. Noi abbiamo voluto raccontare prima la famiglia, la vita quotidiana e poi non la morte ma quello che è stato il sentimento della tragedia da parte della famiglia”.
Oggi Cesare Di Berardino vive ancora in queste immagini e nei segni impressi nella foto che rappresenta Enrica Buccione, moglie del fotografo e nipote di Cesare, intitolata “La fiamma dell’orgoglio”.
Chi è venuto dopo la tragedia di Marcinelle come Enrica (ritratta nella foto a sinistra), nel ricordare il sacrificio dei questi minatori prova orgoglio. Erano uomini che fuggivano dalla fame ma che hanno costruito la strada per il cambiamento sociale, dando a figli e nipoti la possibilità di avere una vita migliore di quella dei “musi neri”, come venivano chiamati i minatori italiani dai belgi.
Guarda tutte le foto della mostra sul blog di Max Pelegatti