Bruxelles – L’idea di indire un referendum sulla possibilità della regione serba (la Republika Srpska) della Bosnia ed Erzegovina di istituire un proprio giorno di festa nazionale sta creando forte opposizione, non solo nel Paese ma anche a livello internazionale. La paura è che questo possa essere un primo passo verso una volontà separatista che potrebbe portare di nuovo lo scompiglio nei Balcani. Per questo gli ambasciatori di Canada, Francia, Germania, Italia, Giappone, Turchia, Regno Unito e Usa hanno sottoscritto una dichiarazione esortando il presidente della regione a “non tenere il referendum” e a “rispettare la sentenza della Corte costituzionale” che si è espressa in maniera contraria. “La Republika Srpska resterà una parte integrante e indispensabile dello stato sovrano della Bosnia Erzegovina” e “non ci sarà nessuna revisione dei confini” hanno scritto gli ambasciatori che appartengono tutti a Stati membri del Consiglio per l’implementazione della pace (Pic), istituito nel 1995 attraverso gli accordi di Dayton, gli accordi che posero fine alla guerra nel Paese. La Russia, anch’essa membro del Consiglio ma da sempre forte alleato della Serbia, si è rifiutata di sottoscrivere l’appello. Il documento è stato firmato martedì 20 settembre, lo stesso giorno in cui l’Ue si congratulava con la Bosnia per i significativi passi in avanti compiuti in direzione dell’entrata a far parte dell’Unione.
Il referendum dovrebbe tenersi il 25 settembre nonostante la sentenza del tribunale costituzionale che si è opposto alla consultazione definendola “discriminatoria” perché rimanderebbe a una delle cause del conflitto scoppiato nel 1990 e diffonderebbe sentimenti di insicurezza fra le comunità bosniache e croate residenti nell’area. La posta in gioco è molto alta alcuni temono che il referendum potrebbe minare l’autorità della corte o addirittura portare alla separazione della Republika Srpska dalla Bosnia e all’annullamento degli accordi di Dayton, con il conseguente rischio di nuove azioni violente.