Stretta tra il terrorismo dell’ISIS, le emergenze umanitarie nel Mediterraneo e la crisi ucraina, l’Unione Europea sta rispolverando il ‘braccio armato’ della sua azione esterna, la Politica di Sicurezza e Difesa Comune (PSDC). Recenti iniziative sul fronte UE e degli Stati Membri all’indomani dello shock collettivo della Brexit stanno fornendo utili spunti per riflettere su alcuni passi avanti concreti nel difficile processo di integrazione europea nel campo della difesa. I prossimi mesi saranno fondamentali per comprendere direzione e possibili esiti di questo delicato percorso.
L’esito del referendum britannico del 23 giugno, se da un lato priverà l’UE di un ‘peso massimo’ nel campo della sicurezza, mettendo a dura prova le capacità militari e civili della PSDC, dall’altro sta creando inedite opportunità per migliorarne strumenti, struttura e processo decisionale, in ragione del venir meno – in prospettiva – della tradizionale opposizione del Regno Unito ad un ruolo più profilato dell’UE nel campo della difesa.
Quasi in coincidenza con la ‘Brexit’, e con discussa ma consapevole scelta, il 29 giugno l’Alto Rappresentante per gli Affari Esteri e la Politica di Sicurezza, Federica Mogherini, ha presentato ai Capi di Stato e di Governo, riuniti a Bruxelles in un Summit volto ad un primo esame della decisione britannica, la ‘Strategia Globale per la Politica Estera e di Sicurezza dell’Unione Europea’.
La Strategia fornisce una valutazione realistica ma ambiziosa della PSDC nel più ampio contesto dell’azione esterna dell’UE. Riconoscendo il ruolo perdurante, ma certo non esclusivo, dell’”hard power” nell’attuale scenario internazionale di sicurezza, la Strategia ambisce a realizzare l’“autonomia strategica” dell’UE, mirando a formulare una PSDC più rapida ed efficace in ambito capacitario, operativo ed istituzionale, basata su strette sinergie tra aspetti interni ed esterni della sicurezza (come richiesto, ad esempio, dall’emergere della minaccia terroristica in Europa), su una più concreta complementarietà con la NATO (quest’ultima ‘ritornata’ ai tradizionali compiti di difesa collettiva dopo la crisi ucraina), e di una base industriale europea per la difesa più concorrenziale ed integrata.
Incoraggiando gli Stati Membri dell’UE a rendere la cooperazione in materia di difesa sempre più una “norma”, dal coordinamento delle spese militari nazionali ad una più forte interoperabilità nelle operazioni e missioni PSDC, la Strategia insiste su un suo avanzamento pratico che potrebbe fondarsi, tra gli altri, sul rilancio dei Battlegroup multinazionali (creati ma mai utilizzati dall’UE), la creazione di un Quartier Generale permanente per la pianificazione e la condotta di operazioni e missioni PSDC (attualmente affidate alla gestione rotatoria dei singoli Stati Membri), l’utilizzo di clausole ‘dormienti’ del Trattato di Lisbona quali la Cooperazione Strutturata Permanente (PESCO, Articolo 46 TUE, che permetterebbe un’integrazione più profonda tra un numero limitato di Stati Membri a Trattati UE invariati) e la possibilità per un gruppo più ristretto di Stati Membri di svolgere compiti nel campo della PSDC per conto dell’UE (Articolo 44 TUE), così come il finanziamento diretto dal budget UE di programmi di ricerca nel campo della difesa (attualmente consentiti soltanto per talune tecnologie ad applicazione ‘duale’, civile e militare), ed il rafforzamento del coordinamento tra Stati Membri nel quadro della pianificazione militare (ancora affidato a sporadiche iniziative su base volontaria).
Nelle scorse settimane, una serie di proposte più o meno concrete sono giunte altresì da vari Stati Membri, sfruttando abilmente la rinnovata visibilità politica dei temi di sicurezza in un’Europa affetta da crisi e minacce interne (in primis, il terrorismo di matrice jihadista) ed esterne (in particolare, l’instabilità diffusa sul fronte sud ed i perduranti rischi di ‘escalation’, quanto meno politica, con la Russia nella crisi ucraina).
Lo scorso agosto, il Gruppo Višegrad (Repubblica ceca, Ungheria, Polonia e Slovacchia) si è espresso, per bocca dell’ungherese Orban e del ceco Sobotka, a favore della creazione di un “esercito europeo” diretto ad assicurare la sicurezza delle frontiere esterne e la lotta contro il terrorismo. Formulata in termini assai vaghi nel corso di un Vertice tra il Gruppo e la Germania, la proposta non ha tuttavia incontrato un immediato seguito a livello europeo, non in ultimo in ragione del forte accento anti-immigrazione della proposta.
Parallelamente, i Ministri italiani degli Esteri e della Difesa, Paolo Gentiloni e Roberta Pinotti, hanno avanzato l’idea di una “Schengen della Difesa”, fondata su una sorta di processo a due livelli, paralleli e non reciprocamente esclusivi: l’attivazione immediata degli articoli 44 e 46 TUE, ed al contempo la creazione di un’”Unione Europea per la Difesa” tra un nucleo ristretto di Stati Membri, più profonda ed ambiziosa rispetto alla PESCO in quanto fondata su mandati e compiti concordati, un comando integrato, e processi decisionali e di budget comuni. Tale Unione potrebbe essere posta anche al servizio di NATO ed ONU, aperta all’ulteriore adesione di altri Stati Membri, e successivamente integrata, appunto ‘à la Schengen’, in un’eventuale revisione dei Trattati UE.
Più recentemente ancora, l’11 settembre i Ministri della Difesa francese e tedesco, Jean-Yves Le Drian ed Ursula Von der Leyen, hanno circolato un position paper di sei pagine sulla ‘Rivitalizzazione della PSDC’. In quella che appare come la più dettagliata tra le recenti proposte nazionali in campo PSDC, l’iniziativa franco-tedesca riprende diversi degli elementi evidenziati nella Strategia UE ed in documenti precedenti (Quartier Generale Permanente della PSDC, PESCO, Battlegroup, revisione dei meccanismi di finanziamento delle missioni ed operazioni PSDC, fondi di ricerca UE dedicati, ed un più stretto coordinamento tra piani nazionali per la difesa), ma aggiunge ulteriori proposte quali la creazione di un comando europeo per l’assistenza medica ed il coordinamento logistico nel campo del trasporto strategico, la condivisione operativa di immagini satellitari, una più stretta sinergia tra la PSDC ed EUROCORPS (un gruppo di cooperazione militare ‘mini-laterale’ a guida franco-tedesca), ed iniziative più sistematiche nel campo della formazione militare europea.
Anche il Summit di Bratislava dello scorso venerdì ha affrontato, seppure superficialmente, il tema difesa. Salomonicamente, i leader europei hanno deferito al Consiglio Europeo del prossimo dicembre le decisioni del merito, limitandosi ad auspicare un avanzamento generale del dossier. Per suo conto, il Governo britannico ha colto l’occasione per minacciare il veto circa l’ipotesi di un Quartier Generale permanente per la PSDC.
Nell’attuale fase di incertezza politica ed istituzionale che investe l’UE ben oltre questo specifico dossier, appare ancora difficile prevedere l’esatta portata delle decisioni che saranno assunte per la PSDC nei mesi a venire. Tuttavia, il merito delle proposte contenute nella Strategia e nelle diverse iniziative nazionali, assieme al processo istituzionale UE in corso – incluso il ‘Piano di Implementazione’ della Strategia Globale – forniscono utili spunti che, qualora adeguatamente bilanciati in un compromesso politico di fondo, potrebbero concretamente contribuire ad un miglioramento progressivo, pragmatico ma tangibile della PSDC.
Andrea Frontini è Analista presso lo European Policy Centre di Bruxelles (EPC). Il presente articolo rielabora parzialmente un precedente contributo in lingua inglese pubblicato dall’Istituto per gli Studi di Politica Internazionale di Milano (ISPI).