Più che mai in questo secolo, che vede perfino la nostra condizione umana “messa in discussione” dal rapido progresso dalla intelligenza artificiale e della genetica, c’è bisogno della realizzazione del sogno dell’Europa. Gli chiedo quale parola gli viene in mente se pensa all’Europa. Speranza. Alfonso non è europeo di nascita. Come latino-americano, ho sempre creduto nel sogno di Simon Bolivar di creare un’unica comunità latino americana. Per questo ho seguito con interesse l’esperienza europea. Porta con sé un gigantesco potenziale di leadership mondiale basata sulla ricchezza culturale, filosofica, scientifica, tecnologica del continente. Le stesse parole usate da Federico Dinelli nella precedente conversazione. L’Europa è una realtà geografica, un continente, ma è innanzitutto un grande sogno di unità, pace e umanesimo.
Ho lavorato all’interno di programmi strategici e internazionali nell’ambito dell’allora Comunità europea. In quegli anni lavoravo al fianco di europei e di persone provenienti da tutto il mondo. Eravamo spinti da forti ideali e ci si sentiva parte di una sfida storica. Ho avuto il privilegio di contribuire alla costruzione europea. Alfonso Molina è il direttore scientifico della Fondazione Mondo Digitale. Sono un idealista pragmatico. Aspiro a grandi sogni, immagino scenari ideali e nello stesso tempo cerco il modo per renderli possibili, concreti e per cominciare, io per primo, a realizzarli. Piccola nota personale. Nel 1973 il colpo di Stato di Pinochet. Aveva poco più di venti anni. Il tempo di capire cosa succede, il regime lo perseguita come perseguita tanti suoi amici dell’università. Prima lo imprigiona poi lo rilascia. Si dà alla clandestinità. Grazie ai Comitè de Cooperación para la Paz organizzati presso la Chiesa riesce a partire per l’Argentina. Dall’Argentina parte per l’Inghilterra. Arriva a Bradford. Viene accolto come rifugiato. Le leggi della Gran Bretagna gli permettono di iscriversi ad un master in ingegneria. Dopo il master si sposta per il dottorato di ricerca a Edimburgo dove diventa ricercatore e professore universitario. Tra i miei sogni già realizzati c’è una cattedra in Strategia Tecnologica all’Università di Edimburgo. Sette è il titolo di questo articolo. Il settimo di una serie di articoli dedicati a delle conversazioni, più o meno politicamente scorrette, con chi ancora crede nella bellezza dell’idea di Europa e nella necessità pratica degli Stati Uniti d’Europa. Oggi, nell’Europa dell’austerità e dell’interesse nazionale, gli ideali sembrano parte di un passato remoto, tutto appannato dalla perdita del senso di unità europea, associato alla crisi economica e migratoria.
Il progetto dei padri fondatori non può e non deve andare in frantumi perché, in un mondo complesso, globalizzato, e di grandi blocchi di potere, rappresenta l’unico destino per evitare il lento ma altrimenti inesorabile declino del continente. Non manca di idee sul come riprendere il progetto e metterlo in atto. I “ pros” del cambiamento. Protesta, proposta, progetto, pro-attivare, pro-seguire per pro-creare il cambiamento. Lo stesso Jean Claude Juncker, nel discorso sullo Stato dell’Unione europea tenuto a Strasburgo due giorni fa e che ripeterà oggi a Bratislava, ha detto che “è giunto il momento che tutti, istituzioni, governi e cittadini, si assumano la responsabilità di costruire questa Europa. Insieme”. Per questo “la Commissione presenterà questa visione del futuro in un Libro bianco nel marzo 2017, in tempo per il 60º anniversario della firma dei trattati di Roma”. I cittadini, e particolarmente i giovani, hanno un ruolo fondamentale nel portare avanti il sogno europeo. Non c’è strategia migliore che coinvolgersi in azioni e progetti per migliorare le proprie comunità, i propri territori, le proprie città e così via. Si deve anche cercare di imparare dall’esperienza di altre città e comunità, di altri paesi europei, creando relazioni che portano a rafforzare le proprie esperienze locali con una prospettiva europea, aprendo la possibilità di influenzare le istituzione locali, nazionali ed europee.
A proposito. Mentre al Parlamento europeo si dibatteva sul discorso sullo stato dell’Unione di Juncker, ci siamo ritrovati a 1.489 chilometri di distanza da Strasburgo davanti ad una libreria. Poggiata alla bell’e meglio un’insegna con su scritto bar Europa, abbiamo immaginato gli Stati Uniti d’Europa e abbiamo condiviso qualche idea sul futuro.