Bruxelles – Se una protesi medica è difettosa l’Istituto che ne certifica la conformità alle norme Ue in alcuni casi può essere ritenuto corresponsabile del danno al paziente. Lo sostiene l’Avvocato generale della Corte di giustizia Eleanor Sharpston in un parere (di norma poi fatto proprio dalla Corte nella sentenza) espresso per la Corte di Giustizia dell’Unione europea.
Il caso in questione riguarda la cittadina tedesca Elisabeth Schmitt nel dicembre 2008 si era fatta impiantare in Germania delle protesi mammarie in silicone. Dopo che nel 2010 le autorità francesi hanno accertato che la società produttrice di tali dispositivi, la Poli Implant Prothèse, usava silicone di bassa qualità per la propria produzione, la signora Schmitt, su parere medico, si era fatta rimuovere le protesi nel 2012 e aveva richiesto, tramite organi giurisdizionali tedeschi, un risarcimento per danni morali pari a 40.000 euro e una dichiarazione che le consentisse di richiedere ulteriori risarcimenti futuri per danni materiali.
Essendo però nel frattempo la società francese fallita, la Schmitt ha proposto un ricorso nei confronti della società tedesca incaricata del controllo del sistema di qualità dei dispositivi, la TÜV Rheinland LGA Products GmbH. La Corte federale di cassazione tedesca (il Bundesgerichtshof) ha poi portato la questione alla Corte di Giustizia.
In merito si è espresso l’avvocato generale Sharpston, affermando che la responsabilità per la conformità del prodotto alle norme Ue, pur appartenendo principalmente al fabbricante, può essere estesa anche agli organismi di controllo e che, quindi, “siffatti organismi possano essere responsabili nei confronti dei pazienti e degli utilizzatori per inadempimento colposo dei loro obblighi derivanti dalle norme dell’Unione europea in materia di sicurezza dei prodotti, a condizione che siano rispettati i principi di equivalenza e di effettività ”.
Nonostante l’avvocato abbia riconosciuto che “l’organismo notificato” (cioè l’ente certificatore così come definito dalla direttiva Ue) non abbia nessun obbligo generale di controllare i dispositivi e la documentazione prodotta dall’azienda al riguardo, “se un organismo notificato è messo a conoscenza del fatto che un dispositivo medico può essere difettoso, è tenuto a esercitare i poteri di cui dispone ai sensi della direttiva al fine di stabilire se la certificazione di tale dispositivo possa essere mantenuta”, prosegue Sharpston. In questo caso, è compito dell’organismo definire e specificare le proprie modalità d’azione.
L’avvocato conclude suggerendo alla Corte di porre un limite temporale sugli effetti della sua pronuncia “in considerazione del rischio di gravi ripercussioni economiche della soluzione che propone”