Bruxelles – “Underpromise and overdelivering”. “Promettere meno e realizzare di più”. E’ questo il motto che sottende il vertice informale dei 27 dell’Ue (senza la Gran Bretagna) che si svolgerà domani a Bratislava. Almeno, questo è quello che vorrebbero i leader che non mettono troppo in discussione l’Unione, un gruppo che ha perso la solidità di un tempo.
Dopo la prima mezza giornata di informale tenuta lo scorso giugno, questa sarà la seconda volta che i Ventisette si vedono senza il rappresentante britannico, continuando una serie che vedrà un nuovo appuntamento all’inizio del prossimo anno a Malta e un altro in marzo a Roma, quando si festeggeranno i 60 anni dell’Unione. La Brexit però non sarà il centro della discussione. Se ne parlerà, in particolare a pranzo, ribadendo la sollecitazione a Londra ad attivare al più presto le procedure per il distacco, ma il tema dell’incontro è come far ripartire un’Unione che perde i pezzi. Il primo passo sarà stabilire, come hanno ribadito oggi a Parigi François Hollande e Angela Merkel “un calendario di lavoro con delle tappe e una roadmap”. “Abbiamo bisogno di un ordine del giorno totalmente chiaro”, ha aggiunto Merkel.
La parola chiave , quella più ripetuta dai leader in questi giorni, è “lucidità” cioè fare un’analisi onesta e senza facili ottimismi. La crisi è “esistenziale”, coma ha detto il presidente della Commissione Jean-Claude Junker e ha oggi ribadito Hollande, confermando che è minacciata la stessa esistenza dell’Ue.
Ci vogliono dunque dei contenuti, che sono sempre gli stessi da mesi: la sicurezza, la crescita, l’occupazione, le frontiere e i migranti, i giovani. “dobbiamo fermare le inquietudini”, ha sintetizzato Merkel, “per restare un continente di speranza”.
Le prospettive però non sono delle più semplici. A Bratislava si lavorerà a trovare una posizione comune sulle ragioni che hanno portato i britannici a votare per la Brexit, “e speriamo che si rimanga nell’ambito della buona educazione”, ha detto un qualificato funzionario. Poi si dovrà trovare un “metodo di lavoro per il Consiglio europeo”, dove le posizioni sono sempre più centrifughe, con i Paesi dell’ex blocco sovietico (Polonia, Repubblica Ceca, Ungheria e Slovacchia, il Gruppo di Visegrad) che mettono in discussione le politiche della Commissione per quanto riguarda il controllo delle frontiere e le migrazioni, quelli del Nord che polemizzano con quelli del Sud, quelli del Sud che si riuniscono per lanciare la loro visione sul futuro dell’Unione, il gruppo dei sei Paesi fondatori normalmente compatto sulle visioni istituzionali che da qualche tempo ha perso il consenso dell’Olanda…
Si lavorerà anche a cercare un nuovo dialogo con i cittadini, quando però “la capacità dei governi di ‘tenere’ sulle questioni europee nei confronti degli elettori è sempre più bassa, il che rende difficile avere visioni a medio-lungo termine”, spiega una fonte diplomatica.
Su un punto, importante, le divisioni invece pressoché spariscono, ed è il Mercato Unico. Tutti ci vogliono stare (compresa la Gran Bretagna) e quello potrebbe essere un buon punto per ripartire. Ad esempio il tema della libertà di circolazione, uno dei pilastri del mercato interno, è assolutamente condiviso anche da quelli di Visegrad.
Non basta però questo a ricompattare il consenso dei cittadini, e non bastano, osservano fonti qualificate, neanche i piani della Commissione per il digitale o il Piano per gli investimenti. Questi saranno mesi di preparazione ad una nuova Unione, “ma da marzo – spiega un alto diplomatico – sarà necessaria una visione più ambiziosa”. Quale possa essere ancora non è chiaro.
Intanto il messaggio di Juncker è di dare un’immagine, se non per ora una sostanza, di maggiore unità. E così vorrebbero anche alcuni governi, in particolare quelli dei Paesi fondatori (almeno dei 5 ancora compatti) .Uno dei problemi però è proprio la Commissione europea, che si definisce con orgoglio “politica”, ma che invece molti Paesi vorrebbero vedere più esecutiva e meno politica. Inoltre non c’è un giudizio univoco sul lavoro di Juncker e dei suoi, con schieramenti che si formano spesso sulle singole policies.
Ci sono analisi diverse sulla situazione, sulle cose da fare, sul come farle, “e questo – dice un diplomatico – evidentemente non aiuta”.