Le due controverse vignette di Charlie Hebdo sul terremoto del 24 agosto hanno suscitato un giusto sdegno non solo in Italia ma nel mondo intero e sollevano di nuovo l’eterna questione della differenza fra umorismo e provocazione. In modo sbagliato, io credo. Perché qui l’umorismo non c’entra nulla e di ben altro si tratta. Le vignette che attirarono su Charlie Hebdo la furia omicida degli integralisti islamici violavano il divieto fatto ai mussulmani di raffigurare il Profeta nel tentativo di umanizzarlo, di avvicinarne la figura alla società occidentale. L’intenzione era un misto di provocazione e di mano tesa, come se con quell’immagine il giornale satirico volesse accogliere Allah e il suo Profeta nell’iconografia delle divinità secolarizzate europee, sdrammatizzandone i tabù che rendono l’Islam divisivo e controverso qui da noi.
Le caricature sul terremoto di Amatrice invece sono di tutto un altro registro, quello becero e stantio del luogo comune. Sono pensate per far ridere i francesi, e solo loro, con messaggi deformati dalla lente di consolidati pregiudizi contro l’Italia. Pregiudizi che poi sono ormai vecchi e superati. Gli italiani affamati e piagnoni, baffuti e scuri di pelle, voracemente indaffarati in canottiera attorno a un piatto di spaghetti non esistono più e appartengono ormai agli archivi della storia. Ma una certa Francia ci vede e ci vuole ancora così. È più facile aggrapparsi a immagini note che uscire allo scoperto e andare a capire la cangiante realtà.
E qui sta il punto. Charlie Hebdo è certamente un giornale eroico che ha pagato con il sangue il sacrosanto diritto alla libertà di stampa. Ma è anche un giornale vecchio, scritto da uomini vecchi dentro, che rappresentano la Francia scomparsa dell’intellettualismo sessantottino. Uomini che vivono reclusi nel passato del loro immaginario collettivo dove gli italiani sono ancora i loro cugini straccioni, chiassosi e pasticcioni ma con un cuore grande così. Forse il più grande limite per dei giornalisti, che invece dovrebbero viaggiare e conoscere prima di scrivere o disegnare anche solo una vignetta.
Questa scollatura dalla realtà può sfuggire finché i giornalisti di Charlie Hebdo si rivolgono al loro pubblico nazionale, alla Francia che sa ancora comunque decifrare i loro segni. Ma appena esce dai confini nazionali si scontra con l’inevitabile illeggibilità di cui cade succube un umorismo autoreferenziale.
Questo è anche un problema culturale e non solo francese. Ogni nostro paese vive in fondo recluso nel suo piccolo universo, prigioniero della propria visione del mondo. Essere capaci di ridere della stessa cosa passa per la conoscenza reciproca e per una vicinanza mentale che in Europa è ancora lontana dall’esistere.