Roma – Il presidente della Bce Mario Draghi prepara il terreno ad una nuova proroga del “quantitative easing”, il massiccio piano di acquisti di titoli pubblici e privati che lo scorso marzo era stato potenziato a 80 miliardi di euro al mese. Ha lasciato capire che un ulteriore slittamento della scadenza prevista, che era stata già allungata al marzo 2017, è alle porte. Ma richiede una certa preparazione tecnica e la decisione potrebbe quindi arrivare al Consiglio di dicembre.
Contestualmente, come ampiamente atteso, la Bce ha confermato i livelli del costo del danaro, che sono tutti ai minimi storici. Il principale tasso di rifinanziamento resta quindi a zero, il tasso sulle operazioni marginali allo 0,25 per cento e il tasso sui depositi resta al meno 0,40 per cento.
La proroga del Qe già oggi non era esclusa, ma nemmeno veniva data per scontata. Quindi una qualche attesa sui mercati si era creata e sull’immediato l’annuncio del mantenimento dello status quo ha innescato un certo rafforzamento dell’euro, che è scattato sopra 1,13 dollari. Successivamente però i mercati sembrano aver soppesato attentamente quanto affermato dal banchiere centrale, e la fiammata dell’euro si è andata spegnendo con la valuta condivisa che ha cambiato rotta, calando a 1,1250 in serata.
Draghi ha infatti puntualizzato innanzitutto che la portata dello stimolo monetario non è in discussione. “Preserveremo il livello molto consistente di supporto monetario, di cui tengono conto le nostre previsioni e che è necessario per garantire il ritorno dell’inflazione” ai livelli obiettivo. Una affermazione che sembra implicare la futura proroga.
Altro segnale in tal senso è il fatto che il Consiglio abbia “dato mandato ai comitati competenti di valutare le opzioni che assicurino una morbida attuazione del nostro piano di acquisti”.
In questo caso il problema sembra essere quello che, specialmente sui titoli di Stato, su cui l’ammontare di emissioni accumulate dalla Bce ha ormai superato la soglia simbolica dei 1.000 miliardi di euro, si sta creando una potenziale penuria. Soprattutto sulle emissioni più solide, quelle della Germania, che al tempo stesso sono anche quelle che per via dei “pesi” con cui ripartire il Qe sono anche le più numerose da acquistare. Oltre un titolo pubblico tedesco su due è già fuori dai requisiti di ammissibilità, soprattutto perché con tassi inferiori ai minimi previsti (-0,40% come sui depositi).
Il mandato ai tecnici serve quindi a rielaborare il Qe in modo da non trovarsi senza obbligazioni da acquistare. Come si farà è tutto da vedere. Luigi Speranza di Bnp Paribas ipotizza che il limite sulla mole acquistabile di una singola emissione venga alzato dal 33 per cento attuale al 50 per cento (che è già in vigore per emissioni sovranazionali, come quelle dell’Esm o dell’Efsf). E che venga ritoccato il rendimento minimo (il suddetto -0,40%).
Ipotesi condivise da Marco Valli, di UniCredit, secondo cui tuttavia non se ne avrebbe un margine risolutivo. L’unica opzione praticabile a quel punto sarebbe estendere il piano agli acquisti di bond bancari, ad oggi escluso dal Qe salvo che con cue strumenti più marginali (gli acquisti di Abs e covered bond). “Se giustificato – ha ribadito Draghi – agiremo utilizzando tutti gli strumenti disponibili, nell’ambito del nostro mandato”.
Il capo della Bce ha anche rivendicato con rinnovati argomenti l’efficacia delle misure messe in campo. “Possiamo dichiarare senza timori conclusa la frammentazione”. I canali di trasmissione della politica monetaria “funzionano” come mai prima d’ora.
E alle proteste che da tempo in Germania circondano i basi tassi e rendimenti ha riposto che “oggi i tassi devo stare bassi per poter risalire domani”. Si tratta di un domani piuttosto lontano comunque. Semmai sulla Germania ha rinnovato i richiami ad avvalersi dei margini di bilancio disponibili per favorire la ripresa, a beneficio di tutta l’area euro. Posto che i Paesi che i margini non li hanno devono far leva sulla composizione dei bilanci, per renderli più favorevoli alla crescita.
E ha appoggiato senza indugi le tesi di chi ritiene che nella prima economia di Eurolandia, dove la disoccupazione è bassissima, servirebbe un colpo d’ala alle retribuzioni. “Penso che sia assolutamente giusto”. I salari vengono determinati dall’interscambio di parti negoziali “ma quello che una Banca centrale o un economista può fare è sottolineare che il fatto che salari più alti siano necessari sia indiscutibile”.
La questione è legata a doppio filo con compiti della Bce, il cui obiettivo ufficiale è mantenere la stabilità dei prezzi, che significa avere una inflazione contenuta (vicina al 2%) ma non a zero, come oggi. E questo a sua volta dipende anche dalle dinamiche salariali. Infatti uno degli aspetti più temuti dalla Bce è che il contesto di bassa inflazione finisca per intaccare le dinamiche delle buste paga, indebolendole e creando una spirale. “Ci chiediamo – ha spiegato – se questa protratta bassa inflazione abbia in qualche maniera filtrato nelle contrattazioni salariali, ad esempio con le indicizzazioni. Se così fosse saremmo estremamente preoccupati e stiamo seguendo questi sviluppi molto da vicino”.