Bruxelles – La Apple dovrà restituire la cifra record di 13 miliardi di tasse non pagate all’Irlanda. Ma il governo di Dublino non vuole indietro quei soldi.
La Commissione europea ha dato un duro colpo all’azienda statunitense che è accusata di aver “evaso” il fisco in Europa grazie a un trattamento di favore garantito a Dublino, dove gli è stato chiesto di pagare imposte per un misero 0,05% dei suoi profitti nel 2011 e un ancor più misero 0,005% nel 2014. “Non è una multa, sono solo tasse che devono essere pagate”, ha precisato la commissaria alla Concorrenza, Margrethe Vestager, che a affermato che “gli Stati membri non possono accordare benefici fiscali a compagnie selezionare perché questo è illegale secondo le regole Ue sugli aiuti di Stato”, e l’inchiesta della Commissione ha dimostrato che “l’Irlanda ha garantito benefici illegali alla Apple che le hanno permesso di pagare somme sostanzialmente più basse di altre aziende per molti anni”.
L’inchiesta, che è stata lanciata nel giugno 2014, ha concluso che due tax rulings, conclusi tra l’azienda e Dublino uno nel 1991 e uno nel 2007, hanno “abbassato artificialmente” le tasse pagate dalla Apple a partire dal 1991. In Irlanda ci sono le sedi della Apple Sales International e della Apple Operations Europe, due società di diritto irlandese detenute al 100% dal gruppo Apple sotto il controllo della società madre statunitense, che detengono i diritti d’uso della proprietà intellettuale per la vendita e la fabbricazione di prodotti Apple al di fuori del Nord e Sudamerica. Entrambe le società avevano nel Paese anche una cosiddetta “sede centrale”, cosiddetta perché nei fatti queste sedi nemmeno esistevano fisicamente e non aveva nessuna attività sostanziali e nemmeno alcun dipendente. Secondo la legge irlandese, la Double irish abolita nel 2015, una multinazionale statunitense poteva creare due sussidiarie in Irlanda, una delle quali costituita nel Paese ma controllata e gestita offshore, e sulla quale venivano applicate delle tasse irrisorie. Secondo i ruling stipulati con Dublino la quasi totalità degli utili sulle vendite registrati dalle due società veniva imputata internamente a queste due “sede centrale”, che erano poi quelle che godevano dei vantaggi fiscali.
Così facendo nel 2011 (secondo le cifre comunicate durante audizioni pubbliche del Senato Usa) Apple Sales International ha registrato utili per 22 miliardi di dollari ma a norma del ruling fiscale solo 50 milioni di euro circa erano considerati imponibili in Irlanda: rimanevano quindi 15,95 miliardi non tassati e la Apple Sales International ha versato solo un’imposta societaria che non raggiunge i 10 milioni di euro, corrispondenti a un’aliquota effettiva dello 0,05% dei suoi utili annuali complessivi. Negli anni successivi gli utili registrati hanno continuato a crescere, ma non quelli considerati imponibili e l’aliquota effettiva è diminuita ulteriormente, fino a scendere ad appena lo 0,005% nel 2014.
Non solo, il trattamento fiscale di cui ha goduto in Irlanda, scrive la Commissione in una nota, “ha consentito ad Apple di eludere le imposte sulla quasi totalità degli utili generati dalle vendite dei suoi prodotti in tutto il mercato unico dell’Ue, avendo Apple deciso di registrare tutte le vendite in Irlanda piuttosto che nei paesi nei quali venivano venduti i prodotti”. La Commissione ha per questo invitato i Paesi membri a controllare se ritengano che una parte di quei 13 miliardi di imposte non pagate spetti a loro piuttosto che all’Irlanda.
Per il governo di Dublino però la posizione della Commissione è ingiusta, ed annuncia un ricorso. La politica di attrazione delle multinazionali attraverso regimi fiscali ultra leggeri è un pilastro della politica economica del Paese, e anche se 13 miliardi sono il 23 per cento del Pil nazionale si ritiene più vantaggioso continuare con questa scelte. “E’ necessario difendere il nostro sistema fiscale per fornire alle aziende chiarezza fiscale e per la lotta contro l’intrusione delle norme europee (…) nei poteri sovrani dei paesi membri in materia di tassazione”, spiega una nota del governo.
Per l’eurodeputato S&D Sergio Cofferati, si tratta di una decisione “molto importante”. “L’azione della Commissione Europea conferma gli elementi già messi in luce dallo scandalo di Luxleaks: multinazionali che stringono accordi segreti ed indebiti con i governi per limitare il loro carico fiscale in modo vergognoso ed illegale, arrivando a pagare meno dell’1% di tasse sui loro utili”, scrive in una nota il deputato secondo cui “è necessario garantire che le multinazionali paghino finalmente le tasse in modo corretto nei paesi in cui generano profitti”.
Critico con l’esecutivo invece il Movimento 5 Stelle secondo cui la richiesta di restituire i soldi a Dublino “aggiunge al danno la beffa” in quanto “con questo sistema si premiano doppiamente quei Paesi che hanno incentivato queste condotte immorali”. Per Marco Valli “la lotta alla grande elusione ed evasione fiscale dovrebbe essere una priorità della politica internazionale, ma la volontà risolutiva ad oggi è scarsa a causa dei forti interessi in gioco”.