Roma – Sì a più integrazione se significa dare vita ad un esercito comune europeo, ma guai a parlare di redistribuzione dei rifugiati o di ulteriore cessione di sovranità a Bruxelles. Nonostante l’opera di mediazione della cancelliera tedesca, Angela Merkel, che ha deciso di sobbarcarsi un viaggio nell’Est europeo per tentare di portare a più miti consigli le voci più critiche all’interno dell’Ue, i quattro membri di Visegrad non modificano di una virgola le proprie posizioni. Incontrando Merkel a Varsavia in vista del summit a 27 del prossimo 16 settembre a Bratislava, i leader di Polonia, Ungheria, Repubblica Ceca e Slovacchia riservano all’Europa soprattutto critiche. L’Unione sta cambiando, hanno lamentato sia il premier ungherese, Viktor Orban, che la polacca Beata Szydlo, secondo cui la Brexit è il risultato degli ultimi passi di Bruxelles. “L’Ue ha perso la sua adattabilità – ha lamentato Orban – e non abbiamo la risposta giusta all’immigrazione e al terrorismo”. Secondo il premier ungherese l’Europa non sta rispettando le regole di base né per quanto riguarda Schengen né sul controllo delle frontiere esterne. “Dobbiamo imparare la lezione da quello che è successo dal Regno Unito”, ha rincarato la dose Szydlo, secondo cui bisogna operare i cambiamenti necessari per permettere all’Ue di “funzionare meglio” così da non “tentare altri Paesi” ad abbandonarla.
E allora da dove cominciare la rivoluzione necessaria? Il blocco di Visegrad non ha dubbi: si deve partire dalla difesa. “Dobbiamo dare priorità alla sicurezza e cominciare costruendo un esercito comune europeo”, ha esortato Orban nel corso della conferenza stampa comune con Merkel e gli altri rappresentanti del blocco. D’accordo anche il premier ceco, Bohuslav Sobotka, che ha ripetuto: “Dovremmo iniziare una discussione sulla creazione di un esercito comune europeo”. Anche Merkel ha supportato, in linea di principio, una maggiore collaborazione in fatto di sicurezza, ma rimanendo molto più prudente sulla possibilità di creare un’armata europea, intenzione difficilmente traducibile in pratica. Se infatti tutti i membri di Visegrad appartengono alla Nato, ben sei Paesi tra i 27 (Austria, Cipro, Finlandia, Irlanda, Malta e Svezia) non appartengono nemmeno alla Nato.
Ma il vero tema divisivo è quello sul quale i leader in conferenza stampa preferiscono sorvolare e cioè la gestione della questione migratoria, con Bruxelles che tenta di resuscitare il sistema di redistribuzione obbligatoria dei rifugiati tra i diversi Stati Ue e i quattro di Visegrad che fanno di tutto per opporvisi. La cancelliera si è limitata a ripetere che i 27 Stati rimanenti devono “trovare terreno comune” anche sui temi più controversi come le politiche migratorie e a sottolineare che occorre “combattere contro chi viola la legge ma anche fare qualcosa per chi ne ha bisogno”. Su come la pensano in materia i leader di Polonia, Slovacchia, Repubblica ceca e Ungheria, Merkel era già stata messa in guardia da Sobotka, incontrato il giorno precedente a Praga: “Non vogliamo lasciare la politica migratoria all’Unione europea e ci opponiamo ad ogni sistema di quote obbligatorio e permanente per redistribuire i migranti” ha chiarito a nome dei quattro Paesi il premier ceco, aggiungendo: “Non credo sia stata una sorpresa per la cancelliera e non è niente di nuovo”.
Insomma se non si vuole iniziare il percorso a 27 con un braccio di ferro per il momento è meglio soprassedere. Del resto, si dice sicura Merkel, il vertice di Bratislava “è un punto di partenza” non di arrivo della nuova formazione Ue orfana di un membro. “La Brexit non è solo un evento, è un profondo punto di rottura nella storia dell’Ue, quindi dobbiamo lavorare ad una risposta molto attenta”, ha ammesso la cancelliera. Anche il premier slovacco, Robert Fico, leader della presidenza di turno che ospiterà il summit del 16 settembre ha ammesso: “Le aspettative sono alte, ma ci sono molti punti di vista diversi. Abbiamo bisogno di avvicinare le nostre posizioni perché non possiamo permetterci di fallire a Bratislava”.