Ho fondato una nuova religione, il bananismo. Adoro la dea Banana che dall’alto delle sue palme ci protegge dal male. La mia è una fede semplice, che mi impone una sola regola: cercare ogni giorno a mezzogiorno di raddrizzare una banana. Poco importa come, l’importante è raddrizzarla. Quando ci riuscirò mi sarò guadagnato il paradiso dei bananiani, dove mi saranno serviti decine di banana split e banane flambé. Ma ogni banana che spezzo nel tentativo di raddrizzarle, la mia religione mi obbliga a mangiarla recitando la preghiera della dea Banana e poi legarmi al collo la buccia. La preghiera dice così:
“O banana della palma.
Storta presto sarai salma.
Dritta invece mi salverai l’alma.
Lavoriamoci con calma”
Ogni mese lunare devo togliermi di dosso tutte le bucce di banana ormai secche e seppellirle in un luogo sacro. Ho chiesto al Comune che mi venga assegnato un appezzamento di terreno per il mio rituale e senz’altro me lo concederà. La libertà religiosa è un diritto qui da noi. Sancito dalla Costituzione. Ho dovuto anche chiedere il permesso all’ASL per seppellire le bucce di banana. Verrà l’ufficiale sanitario a controllare che siano seppellite abbastanza profondamente da non causare problemi sanitari. Ma anche questo permesso non potrà essermi negato. Sennò dove va a finire la diversità culturale? In ufficio i miei colleghi non battono ciglio quando mi vedono arrivare con le bucce di banana al collo. Anzi, mi trattano con maggiore riguardo. Sono un credente io! Soprattutto non si azzardano a guardare le bucce e pazienza per quel leggero odore di pattume che esalano. Talvolta capita che delle riunioni di lavoro si protraggano oltre mezzogiorno. Allora io devo uscire dalla sala, tirare fuori la mia banana, recitare la preghiera e provare a raddrizzarla. Bisogna fare molto delicatamente, massaggiando la banana con la mano. E appena si rompe devo mangiarla. Poi tirò fuori dalla tasca un nastro giallo e mi lego la buccia al collo. Dopo il rito ritorno in riunione e continuo a lavorare. Il tutto prende al massimo dieci minuti. Più difficile quando viaggio. Devo sempre ricordarmi di portarmi dietro una banana. Per non macchiare la camicia ho dovuto escogitare uno stratagemma. Mi metto una mantellina di cotone attorno al collo, che mi copre il petto e le spalle. Me la cambio ogni sera, quindi nessuno può dire che non sono una persona pulita. Nella mia religione non è obbligatorio fare proselitismo, ma siamo già in due noi bananiani: io e il barbone che sta seduto per terra appena fuori dalla metropolitana. Ogni mattina gli regalo una banana e se prova a raddrizzarla, la mangia e poi si lega al collo la buccia gli allungò due euro. Lui ha accettato, anzi si diverte. Gli ho anche spiegato quando deve togliere le bucce dal collo. Per adesso le butta nel cestino lungo la strada ma quando avremo il nostro terreno rituale andremo insieme a venerare la dea Banana che dall’alto del suo giallo ci protegge dal male e ci mostra la via. Lui mi è molto riconoscente, perché sono l’unico che gli dà retta e con me si sente parte di un gruppo. Anche io così mi sento meno solo. So che la dea Banana lassù pensa a me e che prima o poi riuscirò a raddrizzarne una. Devo dire poi che questo collare di banane secche mi sta proprio bene, mi dà un’aria autentica, di persona che crede nelle proprie idee. Ecco perché a me il Burkini in spiaggia non dà nessun fastidio. Anzi.