L’idea era forse meno ambiziosa, ma più realistica. Gianluca Sgueo mette da parte la retorica che accompagna la maggior parte delle riflessioni degli europeisti sull’Europa. L’idea dei padri fondatori rimane valida nei suoi aspetti essenziali. Ma un qualsiasi progetto politico richiede un costante adeguamento alle esigenze delle comunità cui si rivolge. Le comunità sono in continuo movimento. L’Europa e il mondo di oggi sono profondamente diversi da quelli di 10, 20, o 50 anni fa. Questo è un fatto. Se un progetto, un’idea, un valore non è capace di adeguarsi ai tempi, è un progetto destinato a fallire.
Gianluca insegna all’università e svolge attività di ricerca. Rientro a pieno titolo nella categoria degli indecisi su cosa fare da grande. Negli anni ha collezionato varie collaborazioni professionali con istituzioni pubbliche nazionali ed europee. Vivo una collocazione professionale a metà tra quella dell’accademico e del civil servant, e mi sforzo affinché i due si “parlino”. Al momento lavora come ricercatore presso il centro studi del Parlamento europeo. Per uno studioso del diritto dell’Unione europea una preziosa opportunità professionale. Da studente ho vissuto alcuni dei passaggi cruciali dell’integrazione europea, fino all’ingresso dell’Italia nel sistema Euro. Guardando alle opportunità offerte dall’Europa ero entusiasta e un pò confuso. Al lavoro (in Italia, con il governo Monti) e da studioso di diritto europeo ho incontrato la complessità dell’ingegneria istituzionale europea, affascinante. Fino ad un certo punto. Oggi, dopo due anni spesi a Bruxelles, la mia visione dell’Unione europea è meno entusiastica. Nonostante si fondi su un apparato amministrativo tendenzialmente snello, può rappresentare un vero e proprio incubo di carte, procedure e scadenze. Sembra esserci qualche analogia con il nostro Paese. L’apparato amministrativo, incluse le persone e le procedure, è anacronistico e inadeguato. Non avrei mai pensato di doverlo dire. Dillo. Per alcuni aspetti, l’amministrazione italiana che tanto critichiamo e consideriamo inefficiente può essere più rapida ed efficiente di quella europea. Colpo di scena. Ti faccio qualche esempio: all’interno delle istituzioni europee la cultura del digitale è ancora molto lontana dall’affermarsi, moltissimi documenti devono essere necessariamente forniti in formato cartaceo. Molti dei funzionari che si occupano del personale (una delle aree a più alto tasso di burocrazia) sono dislocati in Lussemburgo, per cui spesso è molto difficile poterli incontrare di persona. Esistono sempre i piccioni viaggiatori! Il contatto con la burocrazia europea è stato traumatico ma, a differenza di quanto accade nella maggior parte delle istituzioni pubbliche italiane, la forza lavoro quì è motivata e coesa. C’è un bel clima di rispetto interamente basato sulla comprensione delle diversità reciproche, e quindi costruito intorno all’idea di cooperazione tra persone che hanno cultura e lingua molto diverse tra loro. Come dovrebbe essere al di fuori delle Istituzioni. Occorre lavorare sulla coesione politica, ammettere la formazione di maggioranze variabili, e rinunciare al compromesso per accontentare un po’ tutti in ogni situazione. Quasi sempre questo tipo di compromesso, per non scontentare nessuno, finisce per non accontentare nessun altro. Questa è una questione politica. L’Europa è una bella macchina, che però avrebbe bisogno di una revisione completa, per essere più moderna, veloce e snella. Fuori di metafora. Credo che all’Europa serva, da una parte, un approccio semplificato nei confronti dei cittadini, basato meno sulla comunicazione e più sui fatti, e, dall’altra, un approccio diverso in sede politica. Penso all’incontro tra Erdogan e Putin. E’ assurdo che a causa dello stallo politico l’Europa non riesca a prendere una posizione chiara su temi importanti. Nell’inerzia collettiva, si distingue l’iniziativa di Tsipras di organizzare una conferenza politica tra Stati del sud a settembre ed è molto intelligente la proposta di Renzi di svolgere il prossimo vertice europeo sull’isola di Ventotene a fine agosto. Entrambi, ciascuno a modo proprio, non stanno a guardare ed indicano una prospettiva.
Più volte Gianluca mi ha detto che l’Europa è un progetto follemente ambizioso, e forse proprio per questo destinato al successo. Tre è il titolo di questo articolo in questo blog, Il terzo di una serie di articoli dedicati a delle conversazioni, più o meno politicamente scorrette, con chi ancora crede nella bellezza dell’idea di Europa e nella necessità pratica degli Stati Uniti d’Europa, o almeno ad una delle due. Non credo che gli Stati Uniti d’Europa fossero l’idea originaria legata al percorso di integrazione, e non vedo perché dovrebbero divenirlo ora. Non penso ad una Unione a 360 gradi, ma ad un nucleo di valori comuni – quelli si che esistono – intorno ai quali costruire un “blocco” politico coeso. L’Unione si fonda su un principio semplice: assieme, ma nel rispetto delle differenze. Un progetto federale si basa su un presupposto diverso: non esistono gradi differenze, per cui su poche funzioni residue lasciamo il potere ai governi locali, sul resto decide un solo governo centrale. L‘Unione europea non può permettersi di andare oltre un certo livello di uniformità. E comunque non sussistono le condizioni politiche perché ciò si realizzi. Al riguardo, con Valentino Catricalà nella precedente conversazione abbiamo considerato che “la diversità non è comprimibile ed è per questo che in termini culturali è una ricchezza che non è riconducibile ad unità. L’unità può e deve essere ricercata altrove. Su un terreno politico. Nella comunanza di visione. Nel desiderare la stessa cosa. Nello spirito di comunità”. L’unità può essere trovata convenendo su un nucleo di valori comuni a tutti noi europei. Questa condivisione non significa che tutti i governi devono avere approcci identici rispetto a questi valori. Significa che, su una serie di temi ben definiti, ci deve essere un accordo circa il modo di concepirli e tutelarli. Al livello politico, come ha sostenuto il filosofo Roberto Esposito nel suo libro “Da fuori. Una filosofia per l’Europa”, l’eventuale cessione di sovranità nazionale all’Unione europea potrebbe rappresentare un’estensione della stessa al livello sovranazionale. La globalizzazione ha “eroso” i margini di discrezionalità degli Stati. La globalizzazione. Prima che divenisse una parola alla moda, una delle grandi intuizioni del progetto europeo fu la volontà di creare una potenza economica e politica capace di confrontarsi con gli altri poteri globali. Oggi ci sono molte più materie sulle quali gli Stati non possono più decidere per conto proprio e non possono più decidere da soli. Nessuno è autosufficiente e, da solo, in grado di affrontare difficoltà e cogliere opportunità che sono globali. Maggiori competenze all’Unione debbono passare necessariamente attraverso cessione di porzioni di sovranità. Ciò ovviamente non toglie che i governi non perderebbero completamente la possibilità di decidere. Dovrebbero – come fanno già ora nelle materie su cui la competenza è dell’Unione – concordare le decisioni con gli altri Stati membri, nell’interesse di tutta l’Europa.
L’Europa, con tutti i difetti che possono venirci in mente, nonostante tutto, ha un ruolo decisivo nel mondo. Alcuni sostengono che sia l’Europa, e non la Cina, la nuova superpotenza economica e politica globale. Certamente l’Europa ha collezionato alcuni fallimenti che fanno notizia, il caso della Russia è il più eclatante. Però ogni giorno gioca un ruolo economico e in parte politico importante e resta il principale interlocutore degli Stati Uniti e dei sistemi asiatici. Per mantenere e rafforzare questo ruolo, a nostro beneficio in quanto cittadini e a vantaggio dell’azione che può svolgere oltre i propri confini e delle relazioni internazionali, l’Europa ha bisogno di una vera Unione a guida politica.