di Pierluigi Fagan
Russia, Iran, curdi, Siria, Israele, Arabia Saudita, Qatar, Egitto, Francia, Germania, Unione europea, Stati Uniti d’America. Tutti questi attori sono stati variamente invocati e convocati per spiegare il fallito colpo di Stato turco e tutti loro sono sotto esame per capire dove si volgeranno le prossime relazioni internazionali turche. Ma non ci siamo scordati qualcuno?
Tre anni fa, nel mentre la Turchia ribadiva la sua fedeltà atlantica e nel mentre si sottoponeva al decennale corso di idoneità per sposarsi con l’Unione europea, processo kafkiano che dal 2005 ha rinnovato esami e scadenze senza mai approdare a nulla di concreto, la Turchia si faceva l’amante e ad aprile 2013 entrava come osservatore nella Shanghai Cooperation Organization (SCO). La SCO ha come membri effettivi la Cina, la Russia, i tagiki, i kazaki, i kirghisi e gli uzbeki. Questi ultimi quattro, tutti musulmani e tutti sunniti, sono nazioni della zona da cui – in parte – originano i popoli turchi che non sono indigeni dell’Anatolia. India e Pakistan hanno appena firmato il protocollo formale di adesione alla SCO e quando il processo si concluderà, presumibilmente a giugno dell’anno prossimo (2017), diverranno membri effettivi. Sono gravitanti intorno alla SCO in qualità di membri osservatori: l’Iran, la Mongolia, la Bielorussia e l’Afghanistan. Sono invece partner di dialogo: lo Sri Lanka, il Nepal, la Cambogia, l’Azerbaigian, il Bangladesh e l’Armenia. Per ora solo “ospite” il Turkmenistan, il quale ha solide relazioni di fornitura gas ed investimenti in impianti con la Cina. L’Ucraina aveva presentato domanda nel 2013 ma né è stata ritirata, né ne è stato sollecitato l’iter. Tutti compresi, oltre ad essere il cuore dell’Eurasia, sono circa metà dell’umanità.
La SCO[1] ha varie articolazioni. Si collabora contro il terrorismo, il separatismo, si sviluppa la difesa e la sicurezza comune, si fanno esercitazioni militari congiunte, si contrasta il traffico di droga e si sviluppa la cybersicurezza ma si fanno anche affari, patti commerciali e di libero scambio, si mettono in piedi istituzioni bancarie e finanziarie, si fa cooperazione culturale. Deve esser interessante la SCO visto che gli Stati Uniti vi hanno chiesto di esser accettati come osservatori già nel 2005, richiesta respinta perché in tutta evidenza non ci sono confini contigui e quella del rispetto dei reciproci confini era una delle ragioni fondative del gruppo. Non volevamo però fare della sottile ironia nel sottendere che gli Stati Uniti tendono a non rispettare gli altrui confini ma solo che oggettivamente gli Stati Uniti d’America stanno, geograficamente parlando, da un’altra parte o almeno questo recita la motivazione ufficiale al diniego.
Infine, a giugno 2016, hanno presentato domanda d’entrata anche l’Egitto, la Siria ed Israele. Cosa spinge iraniani ed israeliani, pakistani ed indiani, turchi e siriani a far parte della stessa organizzazione? La Cina.
La Cina ha i soldi e sono pochi a trovarsi in questa fortunata condizione soprattutto oggi che i più stimati economisti dichiarano la prospettiva di una secolare stagnazione. La Cina ha in progetto e progressiva realizzazione ben due vie infrastrutturali piene di ferrovie, strade, porti, aeroporti, stazioni, pipeline, cavi elettrici e di comunicazione[2]. Il Financial Times l’ha definito il nuovo piano Marshall, con ironia tutta britannica. Chissà, magari è per questo che quelli dell’IMF, che ormai sformano paper a mitraglia in cui promuovono tutto e l’esatto contrario[3], ha invitato i G20 a tornare a considerare lo stimolo dell’investimento statale[4]. Pur di relativizzare il potere degli investimenti cinesi, sono disposti anche a rispolverare Keynes. La Cina ha soldi e progetti di cooperazione, non ti chiede se sei bianco o nero, se sei democratico o meno, a quale dio sei devoto o se rispetti i diritti dei gay, ti chiede solo di essere collaborativo e stabile. Stabilità che impone di mettere posto in casa prima di ospitare progetti ed investimenti. “Mettere a posto in casa” significa esser stabili, non manipolabili esternamente, non divisi tra chi vorrebbe andare da una parte e chi dall’altra, avere confini certi.
Noi non sappiamo come è andato davvero il fallito colpo di Stato turco, se e per quale ragione è stato precipitato alla sera invece che esser condotto prima dell’alba come si conviene in questi casi, se Erdogan ne era completamente ignaro o moderatamente pre-allertato, se ne era del tutto consapevole e l’ha controllato ex-post. Sappiamo però che l’ha definito «un dono di Dio», non il fatto che lui abbia salvato la pellaccia, proprio il tentativo di colpo in quanto tale. Perché?
Andando sul piano congetturale ancor più spinto, proviamo a mettere in fila alcuni recenti avvenimenti geopolitici dell’area e del comportamento turco. Indubbiamente, Erdogan ha accarezzato con presenza e decisione la strada dell’alleanza organica con il Qatar (a cui lo lega la comune adesione o simpatia al progetto islamista dei Fratelli musulmani) e per traslato con l’Arabia Saudita. Ne ha quindi appoggiato le mire siriane e tra un bombardamento della Siria curda ed un appoggio allo Stato islamico, ha finito anche col buttar già un caccia russo. Chi segue queste cose, il mattino dopo la notizia, ha temuto che Erdogan non si fosse inventato la provocazione, si temeva che la NATO, visto che presuntivamente il caccia aveva sorvolato lo spazio aereo turco, quindi NATO, sarebbe arrivata in soccorso facendo la voce grossa, con successiva potenziale escalation. Invece non l’ha fatta. Erdogan forse ha cominciato a sospettare di esser una pedina anche non delle più importanti, quello che gli avevano detto e assicurato forse non stava esattamente come detto e assicurato. In seguito, ignorato volutamente da Obama che ha evitato una esplicita richiesta di contatto a quattr’occhi, ha mandato Davutoglu, allora primo ministro, in Europa. Il turco, pur diplomatico e sorridente, aveva l’ingrato compito di far richieste abbastanza impegnative non solo relativamente ai soldi che Erdogan pretendeva per fare da frena-profughi, ma precisi impegni per porre fine all’interminabile esame d’ammissione all’UE, inclusa l’abolizione dei visti su i passaporti per i cittadini turchi diretti in Europa. Mentre Davutoglu si sottoponeva ai delicati compiti diplomatici, Erdogan da Ankara lo bombardava con dichiarazioni francamente inopportune nella loro arroganza. Tant’è che qui in Europa, s’è presto formato un vasto schieramento di più che perplessi sull’eventualità di considerare la Turchia davvero un partner. Si ricordi gli incontri nella reggia kitsch di Ankara tra Merkel ed Erdogan.
Forse Erdogan voleva saggiare quanto le paroline dolci e le promesse sussurrate a suo tempo dalla tedesca fossero dati reali e concreti e quanto no e forse voleva farlo per assecondare ancora una volta le potenti élite occidentaliste che aveva in patria ma chissà poi quanto convinto. Tant’è che non sono passati poi molti giorni da quando Davutoglu aveva portato a casa almeno i milioni di euro per il servizio trattieni-profughi che Erdogan ha raddoppiato la cifra richiesta. Sembrava quasi che Erdogan avesse voluto o dovuto concedere una chance al diplomatico Davutoglu, notoriamente più liberale, filo europeo ed atlantista, ma non ci credesse molto nella strada europea e stesse quasi facendo di tutto per esser mandato a quel paese. I primi di maggio Davutoglu si dimette, evidentemente per insanabili divergenze con Erdogan. Poco prima un disguido di agenda aveva mandato a monte un incontro Davutoglu-Obama che per il turco sembrava fissato ma per l’americano evidentemente no. I turchi volevano chiarirsi con gli americani ma gli americani sfuggivano, i turchi volevano chiarirsi con gli europei ma gli europei tergiversavano. Prima del tentato golpe, la Turchia si arrabbia di brutto per una presa in giro televisiva di un comico tedesco, poi diventa preda di attentati che non portano solo ai soliti curdi (o supposti tali) ma forse anche agli islamisti. Poi Erdogan manda la fatidica lettera di scuse a Putin per avergli buttato giù il caccia e poco dopo abbiamo visto i carri armati sul Bosforo.
Erdogan certo è un personaggio assai curioso nella sue giravolte ed espressioni politiche ma anche il neo-sultano (usiamo questa espressione per variare il testo ma non la condividiamo poi molto come categoria analitica) deve fare i conti col paese che ha. Ed ha: curdi indipendentisti, imprenditori e borghesia occidentalisti che vorrebbero entrare nell’élite euro-atlantica, militari che lo vorrebbero morto, militari amici degli americani, militari amici dei russi, militari amici degli islamisti, islamisti più o meno arrabbiati a loro volta amici non solo del Qatar ma anche dell’Arabia Saudita (che non sono esattamente la stessa cosa), il misterioso Gülen che è dovuto scappare in Pennsylvania ma ha lasciato molti suoi amici nei posti chiavi del potere sociale, economico, culturale, a spingere verso Occidente, più tutta la sarabanda di piccole e grandi potenze estere che lo vorrebbero con loro contro quell’altro e poi in fondo, avendo capito il tipo, manco si fidano poi più di tanto. Questo non è esattamente un quadro stabile e forse con «dono di Dio» Erdogan indicava la possibilità data dalla dovuta reazione al colpo di Stato, di mettere finalmente ordine, non con i tempi lunghi e molto incerti delle buone ma con quelli rapidi e senza riguardi delle cattive.
La Cina avrebbe un doppio interesse a cooptare la Turchia in un sistema di amicizia organica. Oltre quella ovvia di terminale della via della seta terrestre che ha nella Turchia l’ultima stazione prima di entrare in Europa, i cinesi hanno problemi con gli uiguri[5] (che sono una etnia turcofona e musulmana pur abitando una provincia cinese, il Xinjiang, l’estremo occidente cinese) che nella loro lotta per l’indipendenza sono capeggiati da estremisti islamici. Pechino non solo ha ripetutamente segnalato che gli uiguri del Xinjiang vanno in Siria a combattere per lo Stato islamico (e poi tornano a fare attentati a casa) ma anche che prima di andare in Siria il loro terminale è proprio in Turchia[6]. Si tenga conto che il Xinjiang è strategico sia per i pozzi di gas, sia soprattutto perché è da lì che passa la futura via della seta: Alashankou vicino a Khorgos[7] (terminale energetico) è la porta d’entrata di tutto il complesso ferroviario che arriverà fino in Europa. La lunga marcia dell’avvicinamento turco-cinese ha visto anche la Turchia sottoscrivere il capitale della nuova megabanca per lo sviluppo AIIB (Asian Infrastructure Investment Bank con sede a Pechino) dotata di 100 miliardi di dollari e la sua partecipazione è stata ratificata da AIIB giusto lo scorso 15 Gennaio[8]. AIIB è uno dei principali (ma non l’unico) finanziatore di infrastrutture, di e intorno alla via della seta terrestre (ce ne è una anche di mare). La Turchia, nei progetti della via della seta terrestre, come detto, è il terminale finale prima di saltare in Europa ma la linea proverrebbe dall’Iran, purtroppo, attraversando l’area curda. Diciamo “purtroppo” perché è nota l’instabilità della questione turco-curda e la ventilata intenzione dell’amministrazione Obama di dar appoggio alle rivendicazione di autonomia dei curdi, forse la più grande comunità etnica (sono in Iran, Iraq. Siria e Turchia)[9] senza una terra politicamente unita ed autonoma, è stato uno dei massimi attriti tra Erdogan ed Obama. Essere occupato dalla NATO va bene, essere preso continuamente in giro dall’Europa insomma, ma trovarsi uno Stato curdo con basi militari americane ai confini[10] che prima o poi pretenderà di portarti via almeno un 30% del tuo territorio, beh… Sarà un caso, ma giusto pochi giorni fa alcune testate geopolitiche[11] hanno segnalato una ripresa di conflitto tra curdi e Teheran, conflitto da lungo tempo semi-dormiente.
Da tutto ciò dovrebbe conseguire il già annunciato riallineamento con la Russia (San Pietroburgo, 9 Agosto, incontro Putin-Erdogan con firma delle ripresa del progetto Turkish Stream, dice Reuters[12]). Quindi, pur mantenendo il legame con il Qatar (ma non con l’Arabia Saudita), una conferma di amicizia con gli iraniani, un disimpegno dal fronte siriano e la già annunciata sostanziale neutralità con Israele, una intensificazione della repressione dei curdi, una sostanziale freddezza con la NATO condita da una certo fastidio per gli USA, una nuova forma politica pronunciatamene islamizzata ma soprattutto presidenzializzata, si andrà sempre più verso una un’ostentata antipatia[13] per la sposa europea. Sposa riluttante, dalle eterne promesse mai mantenute, anziana, presuntuosa ed inaffidabile. Forse il colpo di Stato voleva interrompere la continuità territoriale dell’avanzamento inesorabile della via della seta dei cinesi che, tra una convention del miliardario cafone e l’altra della troppo ambiziosa e ricattabile donna senza qualità, tra un come sempre inconcludente vertice Hollande-Merkel-Renzi ed una inquietante riunione NATO, pazientemente, inesorabilmente, continua a deporre traversine, binari, firmare trattati, accordi, fondare banche, investire denari, fare esercitazioni militari, saldare pipeline.
Ma gatta frettolosa fa i gattini ciechi, il golpe non ha funzionato ed ora, sostanzialmente persa la Turchia, anche tutta la fatica fatta con l’Ucraina risulterà sprecata. Il Turkish Stream[14], portando i tubi dalla Russia alla Turchia europea via Mar Nero, potrebbe collegarsi al Trans Adriatic Pipeline[15] portando l’energia dal confine turco di Ipsala, via Grecia, fino in Italia. Magari Renzi ne ha parlato con Putin nella sua recente visita a Mosca. La catena delle conseguenze potrebbe prevedere che gli ucraini perdano molto del loro fascino visto che non servono sostanzialmente più a niente (a meno non vengano prontamente cooptati nella NATO), i bulgari si arrabbieranno non poco visto che il South Stream doveva passare da loro e sono stati costretti da Bruxelles a rinunciare, si arrabbierà molto anche Angela che sognava di raddoppiare il North Stream visto che giù non si passava ed in questo gioco di arretramento a chiudere i bocchettoni che avanzano, fortissime pressioni potrebbero trasferirsi sull’ultima trincea: in Grecia ed Italia.
Nel mentre i più, immersi nel loro platonico mondo ideale, continuano a trattare le ruvide questioni geopolitiche con le categorie dei diritti umani, la democrazia, il pluralismo ed altro, come se fossero degli “universali” con cui giudicare il mondo prima di capirlo. Sembra proprio che Erdogan voglia metter in ordine la casa prima di aprirla festante per l’arrivo non più della eternamente promessa sposa occidentale ma della ben più interessante, ricca e seria, amante orientale. Ex Oriente lux.
Note
[1] https://en.wikipedia.org/wiki/Shanghai_Cooperation_Organisation; http://www.sectsco.org/.
[2] https://chinageopolitics.wordpress.com/2016/05/09/wang-yi-a-roma-il-ruolo-dellitalia-lungo-le-vie-della-seta-cinesi/.
[3] http://www.ilfattoquotidiano.it/2016/06/01/fmi-listituto-internazionale-si-converte-e-condanna-il-neoliberismo/2786037/.
[4] http://clericetti.blogautore.repubblica.it/2016/07/26/brexit-crollo-di-zero-virgola-fmi-stati-spendete/?ref=HROBA-1.
[5]http://www.limesonline.com/la-cina-la-campagna-antiterrorismo-nel-xinjiang-e-il-rischio-boomerang/76227.
[6] http://www.limesonline.com/cartaceo/la-cina-e-lossimoro-turco?prv=true.
[7]https://next.ft.com/content/80c6e51a-4ccf-11e6-88c5-db83e98a590a.
[8] http://euweb.aiib.org/html/aboutus/introduction/Membership/?show=0.
[9] https://it.wikipedia.org/wiki/Kurdistan.
[10] https://www.theguardian.com/commentisfree/2014/aug/11/isis-obama-friends-iraq-kurds-islamic-state. Metto un link tra i tanti. Cercando su Google troverete molti articoli che speculano sulla possibile creazione di un nuovo Stato curdo American-friendly.
[11]http://linkis.com/nena-news.it/ceUSz.
[12] http://www.reuters.com/article/us-russia-turkey-idUSKCN1061GM.
[13] http://www.ilgiornale.it/news/mondo/bomba-migranti-sulla-ue-larma-segreta-erdogan-1289123.html.
[14] http://turkstream.info/project/.
[15] http://oilprice.com/Latest-Energy-News/World-News/Russia-Remains-Set-On-South-Stream-Pipeline-Project.html.