di Andrea Baranes
Venerdì 29 luglio alle 22.00 – a mercati chiusi – l’autorità bancaria europea (European Banking Authority o EBA) pubblicherà i risultati degli stress test. Semplificando, si tratta di simulazioni del comportamento e della solidità delle banche a fronte di un peggioramento dell’economia, ovvero in situazione di stress. Quelle italiane sottoposte al test sono cinque: Unicredit, Intesa Sanpaolo, Banco Popolare, UBI e Monte dei Paschi. Secondo le indiscrezioni, per le prime quattro non dovrebbero esserci sorprese, ma su MPS le cose potrebbero non essere così tranquille.
Potrebbe essere l’ennesima brutta notizia per la banca senese, e un colpo non da poco, tant’è che dalla Cina dove si stava svolgendo il G20 il nostro ministro dell’economia ha escluso per il momento il ricorso al bail-in delle banche italiane. Si tratta della procedura europea entrata in vigore a inizio anno, e che prevede che in caso di crisi bancaria, prima gli azionisti, poi eventualmente anche titolari di alcune obbligazioni e in ultimo i grandi clienti verrebbero chiamati a coprire le perdite. Unicamente se questi interventi non dovessero essere sufficienti si può poi pensare, in ultima istanza e in situazioni eccezionali, anche a un intervento pubblico.
Il problema è che, come Banca Etruria e le altre hanno ampiamente dimostrato, il bail-in e gli interventi che toccano il risparmio degli italiani hanno delle pessime ricadute sul piano politico. E se per il governo è stata dura affrontarle per 4 banche di dimensioni relativamente piccole, nessuno ha voglia di vedere cosa potrebbe succedere per una banca come Monte Paschi. Ecco allora che tocca trovare altre soluzioni, il che però non è semplice: evitare il bailin, non incorrere nelle reprimende di Bruxelles sugli aiuti di Stato, convincere i mercati, e fare il tutto anche in fretta. Sui giornali in questi giorni si parla di un piano da 5 miliardi di ricapitalizzazione e quasi 10 miliardi di sofferenze da dare via. Bello. Ma chi ce li mette, tutti questi soldi?
Riguardo la ricapitalizzazione, ovvero investitori che mettono soldi freschi per comprare azioni, ricordiamo che i precedenti aumenti di capitale sono stati massacrati dai crolli in Borsa. Esattamente due anni fa le azioni MPS erano scambiate a 5,61, oggi viaggiano sotto 0,3. Una perdita intorno al 95%. Senza andare tanto indietro nel tempo, chi avesse comprato solo 3 mesi fa un’azione MPS oggi avrebbe perso oltre metà del proprio capitale. In queste condizioni e con la spada di Damocle del bail-in, è logico che un qualsivoglia investitore voglia delle garanzie sul risanamento della banca. Risanamento che nel caso di MPS significa ridurre le sofferenze, ovvero i prestiti erogati e che non vengono restituiti. Vediamo perché. Se un prestito non rientra, una banca deve avere dei “soldi suoi” per potere coprire le perdite, ovvero costituirsi delle riserve. Ma queste riserve sono sufficienti a coprire le possibili perdite legate alle sofferenze? Per rispondere bisogna sapere a quanto ammontano le potenziali perdite. Come banca ho prestato 100 miliardi. Di questi 10 non tornano indietro. Negli scorsi anni, mi sono accorto che su questi 10 c’erano dei problemi. Analizzando garanzie e clienti, ho stimato che oggi tali prestiti valgono unicamente 3 miliardi, e ho messo a bilancio tale cifra. Si dirà allora che ho sofferenze lorde per 10 miliardi, ma sofferenze nette unicamente per 3, perché ho già tenuto conto della svalutazione dei crediti.
Da alcuni mesi l’ABI (Associazione Bancaria Italiana) ha deciso di non pubblicare più l’ammontare delle sofferenze lorde, dato che sarebbe “fuorviante”, ma di comunicare unicamente quello al netto delle svalutazioni già operate nei bilanci. Per capire la differenza, per le banche italiane le sofferenze lorde hanno superato i 200 miliardi, quelle nette sono sotto i 90. In una recente lettera, che ha fatto nuovamente tremare il titolo MPS, la BCE ha chiesto di ridurre entro tre anni le sofferenze lorde dai 46,9 miliardi di fine 2015 a 32,4, e quelle nette da 24,2 a 14,6. Quasi 10 miliardi di sofferenze nette da dare via. E questa, come accennato, è la seconda parte del piano che si sta cercando di mettere in campo in questi giorni: liberarsi di 10 miliardi di sofferenze. Esistono diversi soggetti finanziari che acquistano crediti deteriorati a prezzi scontati, per poi cercare di rientrare del possibile. Quanto valgono però secondo il mercato questi crediti deteriorati? La cosa dipende da una pluralità di fattori. Per dirne uno, se i potenziali acquirenti sanno che una banca è sull’orlo del precipizio e ha il fiato sul collo sia del governo che non vuole il bail-in sia della BCE, facile che il prezzo di acquisto crolli. Il problema è che se il valore delle sofferenze crolla, non è più quello che è stato messo a bilancio per le proprie sofferenze. Si dovrebbe mettere a bilancio un nuovo valore, molto più basso. Ma questo comporterebbe un ulteriore buco di bilancio, che la banca non può permettersi, perché le perdite rischierebbero di azzerare il capitale, il che significa arrivare al bail-in.
E allora? E allora ecco che arriva alla riscossa Atlante 2. Il fondo Atlante è stato creato pochi mesi fa con soldi provenienti da banche, fondazioni, assicurazioni e dalla Cassa Depositi e Prestiti. Formalmente privato per non violare le regole europee sugli aiuti di Stato, è stato utilizzato per acquistare la quasi totalità del capitale della Popolare di Vicenza e di Veneto Banca. Per MPS il meccanismo sarebbe diverso: Atlante 2 dovrebbe comprarne le sofferenze a un prezzo superiore a quello di mercato. Questo permetterebbe alla banca senese di non dovere ulteriormente svalutare le sofferenze a bilancio, quindi di non creare nuovi buchi e anzi di ripulire il bilancio stesso, il che dovrebbe poi invogliare gli investitori a sottoscrivere un nuovo aumento di capitale.
Perché però qualcuno si dovrebbe comprare le sofferenze a un prezzo superiore a quello di mercato? Le banche italiane potrebbero sottoscrivere capitale di Atlante 2 sia perché “cortesemente invitate” dal governo a farlo, sia per evitare che un disastro in MPS possa causare un effetto domino sull’intero sistema bancario. La Cassa Depositi e Prestiti, anche se formalmente soggetto privato, è controllata dal ministero dell’economia. Qualche ente potrebbe anche investire pensando che comunque alla fine il fondo riuscirà a recuperare crediti per un valore superiore a quello di acquisto delle sofferenze.
E qui sorge un nuovo problema: tra le sofferenze ci sono molti prestiti fatti negli anni passati a imprese in difficoltà. Nel momento in cui come banca vendo tali crediti a investitori interessati a massimizzare il profitto esercitando ogni possibile azione per rientrare dei prestiti nei tempi più brevi, non sto rischiando di strangolare tali imprese? Mentre l’obiettivo dei salvataggi delle banche dovrebbe essere quello di permettere il rilancio dell’economia, non si rischia al contrario di avere impatti fortemente negativi sul tessuto produttivo? Questa però è un’altra partita. Tanto per cambiare, all’economia produttiva ci si penserà più avanti. Per il momento, per l’ennesima volta, tutti gli occhi sono puntati su come salvare il sistema bancario e finanziario dai disastri combinati negli ultimi anni.
Pubblicato su Non con i miei soldi il 28 luglio 2016.