Il grande esodo, la Grecia di cui nessuno parla più, Parigi, la sfida europeista della Merkel, la Spagna senza un governo, nel Regno Unito un referendum che gli uni pensavano non sarebbe mai stato indetto, gli altri che non lo avrebbero mai vinto e ora sono un poco confusi, il voto degli adulti per uscire e il voto dei giovani per rimanere, un dato sociale e politico, chissenefrega, la linea rossa negoziale è il mercato unico, si torna a parlare di globalizzazione, lo slancio di Renzi che ha le carte in regola per determinare un cambio di marcia, l’Austria che deve andare di nuovo al voto, Nizza, il colpo di stato per alcuni riuscitissimo in Turchia, l’Unione europea che non si vuole allontanare dalla Turchia perché ne ha bisogno, la Turchia che non si vuole allontanare dall’Unione europea perché ne ha bisogno. Nessuno alla guida d’Europa ci sta capendo nulla. Si temporeggia. Nazionalisti e populisti invasati aprono la bocca e danno fiato ma sono gli unici a dire qualcosa. Nessuno alla guida d’Europa prende posizione. Nessuno alla guida d’Europa ha un’idea. Al momento, non esiste una vera guida in Europa.
In assenza di idee, si guarda all’utile. Si perde il senso dello stare assieme. Gli esperti calcolano vantaggi e svantaggi, misurano la convenienza, elaborano previsioni spesso non troppo esatte. Da un altro continente le agenzie di rating ci danno le pagelle. Noi ce le facciamo dare. Ci preoccupiamo per loro, ci preoccupiamo dei mercati, ne siamo condizionati e li coccoliamo. Questo perché siamo deboli. Siamo divisi quando dovremmo essere uniti. Siamo divisi perché la mancanza di idee ha lasciato il passo alla tecnica, al primato degli esperti, al senso dell’utile. L’utilitarismo ci ha reso egoisti, ha risvegliato ambizioni e istinti predatori di sopravvivenza. Abbiamo stabilito un prezzo per la dignità di una persona, facciamo solo ciò che pensiamo più ci convenga, e, demolita la solidarietà, abbiamo permesso che qualcuno iniziasse a tirare su muri.
Le Istituzioni europee hanno fallito nel non riuscire a rafforzare lo spirito di comunità. La maggior parte dei governi non si è dimostrata all’altezza della situazione. Rabbia, paura, scetticismo e rassegnazione sono reazioni comprensibili come pure è comprensibile chi si arrabbia e non rinuncia a coltivare la speranza. Uno è il titolo di questo articolo in questo blog, il primo di una serie di articoli dedicati a delle conversazioni, più o meno politicamente scorrette, con chi ancora crede nella bellezza dell’idea di Europa e nella necessità pratica degli Stati Uniti d’Europa.
La prima conversazione è con un gruppo di giovani che non si rassegnano, continuano a credere che le cose possano cambiare e, consapevoli di essere piccoli piccoli, provano a fare la propria parte. Molto democraticamente hanno deciso che la voce a rappresentarli dovesse essere quella di Alessandro Iannamorelli, un giovane studente di giurisprudenza di 23 anni. Assieme agli amici hanno fondato l’associazione Tor Più Bella. Alessandro pensa che nei prossimi quindici anni “l’Europa sarà più povera economicamente, perché si sta perdendo tempo prezioso per essere più uniti, anche dal punto di vista politico“. Secondo lui “l’Europa deve tornare a essere un desiderio di pace e di giustizia, di un popolo risoluto ad affrontare le sfide globali costruendo una comunità tra popoli e istituzioni, su un senso di fratellanza che rinasce dai giovani“. Nessuno più parla di solidarietà, figuriamoci di fratellanza. Lui parla di fratellanza ed è convinto che il senso di comunità possa rinascere dai giovani “vada bene l’indignazione come impulso, ma si orienti subito a un sano tormento per le ingiustizie sostenute dalla nostra Europa stanca e impotente di fronte alle guerre e alle violenze nel mondo, di fronte a un’anzianità emergente, di fronte a una crescente povertà“. Sostiene che l’emergenza sia anche culturale con “giovani che perdono la speranza, nazionalismi crescenti e periferie abbandonate. Prevedo un’Europa sempre più in difficoltà con i nazionalismi“. Per questo “chi con un’associazione vuole dare un messaggio al suo territorio, non può sottrarsi, in questo vuoto, alla sfida del rilancio del sogno europeo, di politiche e di azione esterna; deve col cuore ricordare a un popolo smarrito che i grandi problemi del mondo, riversati da Stati in crisi sulle realtà locali, si affrontano nel piccolo, che al male si reagisce costruendo una comunità che raggiunga tutti, un senso di appartenenza che sia anche educazione in contrasto alla crisi, per non farsi sommergere dalle frustrazioni e dalle menzogne“.
Alessandro non rappresenta un caso isolato ma è uno di quei giovani, sparsi in tutta Europa, che la possono spingere dove i governi non arrivano. Che più di tutti danno l’Europa per scontata e si meravigliano del perché ci stiamo mettendo così tanto a realizzare gli Stati Uniti d’Europa. Sono loro che possono domandare cambiamento senza limitarsi a domandarlo solamente. Possono iniziare ad offrirlo.
Oggi saremo con loro, a parlare di Stati Uniti d’Europa, in un bar, a 1500 chilometri da Bruxelles.