Bruxelles – “E’ chiaro come il sole” che immigrazione e terrorismo vanno di pari passo. Sull’argomento non ha dubbi il primo ministro ungherese Viktor Orban. Dopo un meeting a Varsavia, in Polonia, del Gruppo di Visegrád (nome dell’alleanza che riunisce Polonia, Ungheria, Repubblica ceca e Slovacchia), il premier ha dichiarato ad alcuni giornalisti che c’è una “evidente connessione” tra i due fenomeni e che “se qualcuno nega questa connessione allora, difatto, questa persona danneggia la sicurezza dei cittadini”. Una dichiarazione molto forte, che non sorprende nell’attuale contesto ungherese. Il clima non è dei più accoglienti nel Paese che si prepara a votare un referendum sulle quote dei migranti proposte dall’Unione europea. Non c’è posto per il ‘fair play’ in questa campagna, come ben dimostrano gli annunci pubblicitari ad opera del governo su cui capeggiano scritte come: “Lo sapevate? Gli attacchi di Parigi sono stati commessi da dei migranti”,oppure “Lo sapevate che dall’inizio della crisi dei migranti, più di 300 persone sono morte durante gli attacchi terroristici in Europa?”. Niente ambiguità o sospesi, l’equazione tra migranti e terrorismo è lampante.
“Lo sapevate che dall’inizio della crisi migratoria c’è stata una impennata del numero di molestie contro le donne in Europa?”. Ma se questo avvertimento non fosse abbastanza convincente, Orban si è impegnato nel ribadire la connessione, sottolineando in precedenza che la massiccia immigrazione di musulmani minaccia la sicurezza dell’Europa e l’identità cristiana. Bence Tuzsor, un funzionario governativo, ha spiegato che lo scopo della campagna è di “attirare l’attenzione sulle conseguenze di una fallita politica sulla migrazione di Bruxelles”. Secondo quanto stabilito dall’accordo a livello europeo sulla ripartizione di quote di migranti, l’Ungheria dovrebbe accogliere circa 1.200 rifugiati. “Lo sapevate che Bruxelles vuole deportare l’equivalente di una città di migranti in Ungheria ?”, recita un altro annuncio. Fin dall’inizio la decisione non è andata giù al Paese, che ha deciso di fare ricorso alla Corte di giustizia dell’Ue. Per Orban il sistema delle quote rappresenta una sfida alla sovranità ungherese e un tentativo di cambiare la composizione etnica e culturale del Paese. La sua speranza è che il voto del referendum possa legittimarlo a rifiutare le imposizioni di Bruxelles. Di diverso parere la Commissione europea che ha precisato che il risultato del referendum non avrà conseguenze legali per le correnti politiche dell’Unione: “Non riguarda la legislazione che è applicabile ma qualsiasi cosa possa succedere in futuro”, ha specificato Margaritis Schinas, portavoce dell’esecutivo comunitario. Lo stesso presidente del Parlamento europeo, Martin Schulz, ha definito il referendum “una risposta populista e nazionalista ad una sfida globale”.
Il 2 ottobre 8 milioni di ungheresi dovranno pronunciarsi sul quesito: “Vuoi che l’Unione europea abbia il diritto di disporre il ricollocamento obbligatorio di cittadini non ungheresi in Ungheria senza il consenso del Parlamento?”. Orban sta alacremente lavorando per assicurare la vittoria del no, con la diffusione degli ‘avvisi pubblicitari’ anche sui giornali, sui media online, alla televisione e alla radio. Per far si che il referendum sia valido dovranno esprimere la loro preferenza almeno la metà degli aventi diritto, inclusi i cittadini residenti all’estero, quindi 4,23 milioni di persone.