Come è noto, il governo italiano è ingaggiato in un duro braccio di ferro con la Commissione (e in via indiretta anche con la Germania) sulla modalità di risoluzione della crisi che affligge il nostro sistema bancario, che necessita di una ricapitalizzazione di circa 40 miliardi. La Commissione (insieme alla Germania) insiste affinché il governo rispetti le regole dell’unione bancaria, che prevede che a pagare il conto in caso di crisi bancaria siano in prima battuta i creditori privati della banca (o delle banche): gli azionisti, gli obbligazionisti ed in ultimi istanza anche i correntisti sopra i 100mila euro, in base al cosiddetto bail-in. Solo a quel punto è possibile ricorrere agli aiuti pubblici, secondo il “tradizionale” meccanismo del bailout. Il governo italiano, dal canto suo, chiede di poter aggirare la norma sul bail-in e di poter direttamente ricapitalizzare gli istituti con fondi pubblici. Una misura, a quanto pare, avallata anche dallo stesso Mario Draghi. Anche se il governo adduce motivazioni di natura economico-finanziaria (non del tutto infondate), è chiaro a tutti che le ragioni della posizione italiana sono perlopiù di natura politica.
In caso di bail-in, infatti, la scure ricadrebbe in seconda battuta (dopo gli azionisti) sui possessori di obbligazioni subordinate. Si stima che circa la metà dei 60 miliardi di bond subordinati emessi dalle banche italiane siano in mano a piccoli risparmiatori, molti dei quali – come è emerso in seguito al salvataggio delle quattro banche popolari – non sarebbero stati adeguatamente informati sui reali rischi del prodotto acquistato. Secondo l’ultimo staff report del Fondo monetario internazionale sull’Italia (pag. 25), nel caso delle 15 più grandi banche italiane, un bail-in nell’ordine dell’8 per cento del totale dei debiti bancari – la percentuale minima prevista dall’unione bancaria – spazzerebbe via la totalità delle obbligazioni subordinate, mentre per circa i due terzi delle banche considerate, le perdite potrebbero anche essere imposte ad alcuni debitori senior: in totale, circa 30 miliardi di risparmi che rischiano di andare in fumo. Insomma, col bail-in non sarebbero “le banche” a pagare, e nemmeno “i ricchi”, ma centinaia di migliaia di famiglie italiane che hanno ingenuamente affidato i loro risparmi a un drappello di banche senza scrupoli.
È evidente che si tratterebbe di un suicidio politico per Renzi, che ha già avuto un assaggio delle potenziali ricadute politiche di una tale mossa a dicembre, quando il governo ha messo in risoluzione le quattro banche popolari, imponendo agli azionisti e ai creditori subordinati perdite per circa 870 milioni di euro: spiccioli rispetto alle cifre di cui stiamo parlando ora. Difficilmente il presidente del Consiglio ha dimenticato la eco mediatica che ebbe il suicidio del pensionato che perse 100mila euro nella risoluzione della Banca Etruria. C’è chi sostiene che un bail-in potrebbe essere reso politicamente accettabile assicurando il rimborso – in un secondo momento – dei risparmiatori che sono stati raggirati dalle banche. Ma data l’entità delle obbligazioni interessate, e l’esito tutt’altro che certo delle pratiche di rimborso – su cui a decidere sarebbe in ultima istanza la Corte europea di giustizia –, è improbabile che tale “promessa”, fatta tra l’altro da un governo già in calo nei sondaggi, sarebbe sufficiente a salvare Renzi dalla furia popolare.
A confondere ulteriormente le acque ci ha pensato qualche giorno fa proprio la Corte UE. Con una sentenza relativa al salvataggio di alcune banche slovene, nel 2013, che ha comportato l’azzeramento del capitale dei soci e dei creditori subordinati, la Corte ha stabilito che la norma sul bail-in – che prevede, come si diceva, la ripartizione degli oneri tra azionisti ed obbligazionisti subordinati come prerequisito per l’attivazione degli aiuti di Stato – non viola il diritto europeo. Da un lato questo sembrerebbe rafforzare la posizione della Commissione, che infatti a stretto giro ha dichiarato di «accogliere con favore la sentenza della Corte, che conferma la pratica della Commissione e l’applicazione degli aiuti di Stato al settore bancario». Dall’altro, la stessa sentenza sembrerebbe anche aprire alla posizione italiana: la Corte ha infatti aggiunto che «è possibile derogare» alla norma sul bail-in «se l’attuazione di tali misure metterebbe in pericolo la stabilità finanziaria o determinerebbe risultati sproporzionati». Questa è esattamente l’argomentazione addotta dal governo per giustificare l’aggiramento del bail-in.
La partita è ancora aperta. Alla fine credo che il governo italiano e la Commissione europea troveranno un accordo per evitare il bail-in e sbloccare gli aiuti di Stato. Dubito che la Commissione voglia rischiare una crisi politica in Italia in questo momento. Penso che anche la Germania finirà per ammorbidire la sua posizione, data la bomba da 55mila miliardi di euro – circa 20 volte il PIL tedesco e quasi 6 volte quello dell’intera zona euro – su cui siede Deutsche Bank. La cosa veramente preoccupante è che un eventuale salvataggio pubblico delle banche italiane non fornirà nessuna soluzione a lungo termine per le banche italiane, o per il sistema bancario europeo in generale. Il punto è che senza una ripresa sostenuta dell’economia reale questi problemi continueranno a riemergere. Purtroppo non c’è alcuna prospettiva di ripresa all’orizzonte. Il Fondo monetario internazionale ha recentemente stimato che l’Italia tornerà ai livelli di crescita pre-crisi solo nel 2025. Questo vuol dire che stiamo andando incontro a vent’anni di recessione: un evento senza precedenti nella storia moderna. Risulta evidente come questo non sia sostenibile, né economicamente né politicamente. A queste condizioni, è assai improbabile che la moneta unica esisterà ancora nel 2025.