Roma – Gli aiuti di Stato alle banche si possono fare “in circostanze eccezionali”. Come quando non si riescono a smaltire i crediti deteriorati sui mercati e bisogna evitare “svendite”: proprio quello che sembra verificarsi in Italia. Con queste parole il presidente della Bce, Mario Draghi, è sembrato dare all’Italia quella sponda che, con ogni probabilità, al governo speravano di trovare. Ma l’assist si accompagna con un richiamo: in Italia “si può fare di più” per allestire regole facilitino lo smaltimento delle sofferenze tramite i mercati.
Le banche della Penisola sono tornate nel mirino con lo scatenarsi della volatilità a seguito del voto per la Brexit. E da settimane il problema degli eccessivi “Non performing loans” (Npl) è al centro di un intenso confronto (le autorità dicono “dialogo costruttivo”) tra il governo italiano, da un parte, e la Commissione europea dall’altra. Il nodo sembra esser rappresentato dalla necessità, prevista dalle nuove regole europee, di imporre il famigerato “bail in” in caso di dissesto di una banca. Come unica soluzione o come misura propedeutica per eventuali aiuti pubblici. In pratica si tratta di effettuare dolorosi prelievi anche tra i creditori della banca stessa, cioè i detentori di obbligazioni. E dopo la pessima esperienza dello scorso anno sui bond subordinati delle quattro piccole banche risolte, questo è uno scenario che il governo e non solo vuole evitare, tanto più potrebbe riguardare istituti ben più grossi (Mps, per non fare nomi). Draghi ha evitato di addentrarsi su questi dettagli, esaminando il tema solo per linee generali e dal punto di vista della Banca centrale.
Peraltro intervenire sulla base delle implicazioni che ha sulla politica monetaria, oltre che giustificare la stessa presa di posizione può anche servire a mettere le mani avanti da possibili critiche che, magari dalla Germania, si potrebbero levare contro “il presidente italiano della Bce” che si schiera a favore delle banche tricolori. Le nuove regole europee, stabilite dalla direttiva Brrd “contengono, come ho detto più volte, tutta la flessibilità necessaria per le circostanze eccezionali”, ha esordito Draghi, rispondendo ad una delle numerose domande che da più parti (non solo dai giornalisti italiani) gli sono state rivolte sul tema. “I crediti deteriorati delle banche in Italia sono un grande problema che richiederà tempo, come ha richiesto tempo risolverlo ovunque. Ma dobbiamo essere consapevoli che più a lungo permarrà meno funzionerà il sistema bancario e meno saranno capaci le banche di tramettere gli impulsi monetari all’economia. Gli elevati Npl rendono poi le banche particolarmente vulnerabili ai mercati. E una delle ragioni per cui è così è che mette in dubbio la futura redditività. Quindi – ha proseguito Draghi – da un lato ci sta un interesse a risolvere il più velocemente possibile il problema. Dall’altro si è vincolati dal fatto che è intrinsecamente lento da risolvere”. Una delle misure necessarie “è quella di avere un mercato degli Npl ben funzionante. Servono diverse cose ma una è dominante: creare un quadro legislativo dove i crediti deteriorati si possono vendere facilmente”. Su questo “in Italia si può fare di più e anche per affrontare il retaggio di Npl” della crisi degli anni scorsi, ha concluso. In ogni caso, dal punto di vista della Bce il problema “va affrontato perché è un ostacolo alla trasmissione della nostra politica monetaria”.
E la soluzione vista da Draghi poggia su “tre pilastri”. Il primo è “un solido approccio della vigilanza”, che sostanzialmente spetta alla Bce stessa per le banche più gradi e alle autorità nazionali per le altre. Il secondo è “un mercato pienamente funzionante dei crediti deteriorati”. E il terzo pilastro “è un governo che agisca” efficacemente, anche con le necessarie “revisioni delle regole”. Quanto poi alla decisione finale di autorizzare o meno un intervento pubblico “i poteri ricadono sulla Commissione europea”, ha comunque chiarito Draghi.
Il tutto mentre l’istituzione ha rinviato a settembre qualunque decisione di risposta monetaria alla Brexit, come del resto era forse inevitabile visto che finora nemmeno la Banca d’Inghilterra ha ritenuto di dover agire. Ad ogni modo, date “le prevalenti incertezze” sulle prospettive economiche dell’area euro la Bce “monitorerà molto da vicino gli sviluppi” futuri. In particolare si verificherà l’effettivo passaggio all’economia reale delle misure monetarie decise “nei prossimi mesi” si riesaminerà la situazione “anche con le nuove informazioni, tra cui le stime aggiornate dei tecnici Bce” su crescita e inflazione. “Se necessario a raggiungere i suoi obiettivi, il Consiglio – ha concluso Draghi – agirà con tutti i suoi strumenti”. Il capo della politica monetaria ha anche menzionato il problema dell’altissima tensione in Turchia. “Potrebbe pesare sui livelli di fiducia, ma è molto difficile quantificare il loro impatto sulla ripresa economica dell’area euro”. Tutti temi su cui a breve si potrà confrontare con i partner del G20, al vertice finanziario di questo fine settimana in Cina.
Notizia tratta da Askanews.