Bruxelles – Nell’attentato di Nizza del 14 luglio è stato usato un camion. In quello di ieri, sul treno tedesco, un’accetta. È il nuovo modus operandi dell’Isis per attaccare gli europei. Il califfato incita a colpire gli infedeli (anche se poi a Nizza 30 delle 84 vittime erano di fede islamica) con le “armi bianche”, non importa di cosa si tratti, se di coltelli, di pugnali o di veicoli. Lo dimostrano gli attacchi dell’ultimo periodo, in cui si assiste a “un’importazione del modus operandi mediorientale in Europa”, spiega a Eunews il professor Marco Lombardi, esperto internazionale di terrorismo e direttore di Itstime (Italian team of security terroristic issues & managing emergencies).
“Già nel numero 2 di Inspire (la rivista di Isis) del 2010, si leggeva un articolo dal titolo ‘Come preparare un attacco’ – spiega Lombardi -, e le tecniche indicate erano le stesse che sono state poi utilizzate a Nizza”. Strategie conosciute e diffuse, a cui tutti i nuovi combattenti, i lupi solitari, possono ricorrere con facilità. E da cui l’Europa deve difendersi, anche se trovare le soluzioni più giuste rimane una sfida difficile. “L’Ue è vulnerabile di per sé, come sistema. È inevitabile, perché siamo aperti e dobbiamo difenderla questa peculiarità ”, dice l’esperto. Certo, con un accorgimento in più, quello dei blocchi di cemento all’inizio e alle fine delle vie – e soprattutto di quelle grandi e affollate come la promenade des Anglais – si possono prevenire gli attacchi, ma questo vorrebbe dire stravolgere le abitudini di chi vive nelle città europee. Così “è chiaro che si tramuta un sistema aperto in uno chiuso” che finirebbe per ricordare quelli di Baghdad, Beirut o Tel Aviv.
L’altro problema dell’Europa, per Lombardi, è che non si riesce a creare un servizio di intelligence comune. “L’Europa è un insieme di Stati, non un sistema politico. E le intelligence rispondono, per definizione, a sistemi politici”. Serve quindi pensare a un’altra soluzione, quella di uno scambio di informazioni per prevenire eventuali attacchi, un “information sharing” che coinvolga ogni singola intelligence, senza unirle. Poi “serve che almeno si definiscano le pratiche operative di scambio delle informazioni”, precisa Lombardi. Solo così si potrà combattere con una minaccia che rimane “altamente imprevedibile”, fatta di intrecci, dove ogni treno, ogni aeroporto o partita di calcio rimangono obiettivi sensibili.
Nello specifico, per l’Italia, le misure anti terrorismo proposte negli scorsi giorni dal ministro dell’Interno, Angelino Alfano, “sono giuste”. “Ci vuole corresponsabilità”, spiega Lombardi, “le forze dell’ordine sono in servizio 24 ore su 24, quindi non solo quando indossano l’uniforme, perché hanno le competenze in più per osservare quello che succede e in caso reagire, con la pistola d’ordinanza”. Optare per una maggiore sorveglianza, soprattutto per i “soft target”, come richiesto da Alfano, così come per i luoghi dove avviene la radicalizzazione – moschee o prigioni – sarà l’altro punto chiave del programma. Posto che questo “è il momento in cui ci si deve schierare. Non è accettabile che un qualunque imam (o un qualunque prete) non disconosca i suoi connazionali che praticano terrorismo”.