Bruxelles – C’è una sentenza della Corte di giustizia europea, la digital rights Ireland del 2014, che dichiara invalida la direttiva sulla conservazione dei dati. Ma in due Stati membri, Svezia e Regno Unito, è imposto, a chi opera nelle telecomunicazioni, l’obbligo generale di conservare quelli della comunicazione elettronica. La Corte amministrativa d’appello della Svezia e la Corte d’appello dell’Inghilterra e del Galles si sono rivolte alla Corte Ue per capire, nell’ambito dei procedimenti avviati da una società svedese e da tre privati britannici, se le regole nazionali sono o meno compatibili con quanto stabilito nella sentenza del 2014. Una prima risposta è arrivata dall’avvocato generale Saugmandsgaard Øe, secondo il quale queste leggi sono compatibili con il diritto dell’Unione, ma “è imperativo” che l’obbligo generale di conservazione dei dati “sia delimitato da garanzie rigorose”.
Quindi, perché in uno Stato si possano identificare informazioni come posizione della fonte, destinazione dell’informazione, data, ora e durata, serve che vengano rispettati alcuni requisiti. Che questo accada o meno, sarà compito del giudice nazionale garantirlo. Serve, prima di tutto, che ci siano leggi e regolamenti che disciplinino l’obbligo di conservazione. Poi bisogna rispettare il diritto alla privacy e lo scopo deve essere quello dell’”interesse generale”. Vale a dire: registrare i dati deve essere un modo per lottare contro le “infrazioni gravi” in modo da garantire più sicurezza. La pratica non può servire ad altro, tanto che si registrano solo i dati “tecnici”, non quelli di contenuto. Inoltre, occorre rispettare i “diritti fondamentali” e “limitarne la lesione”. L’obbligo di conservazione deve essere poi “proporzionato”, cioè non se ne possono trarre altri vantaggi se non quelli che aiutano a combattere, appunto, le infrazioni gravi.
Le richieste di mettere fine alla conservazione dei dati erano arrivate da parte della società di telecomunicazioni svedese Tele2 Sverige e dei signori britannici Tom Watson, Peter Brice e Geoffrey Lewis. Nel primo caso, la società aveva deciso di smettere di archiviare i dati e di cancellare quelli già in suo possesso, a partire dal giorno dopo la pronuncia della sentenza digital rights Ireland. Nel secondo, i tre britannici avevano presentato più volte ricorso contro il regime di conservazione che permette al ministro dell’Interno di obbligare gli operatori della telecomunicazione pubblica a conservare i dati per un massimo di un anno. Le conclusioni dell’avvocato generale non pregiudicano la decisione della Corte, ma nella maggior parte dei casi ne anticipano i contenuti.
Qui il testo completo delle conclusioni.