Roma – Quali conseguenze avrà la Brexit per l’economia e le imprese dipenderà dai risultati dei negoziati per l’uscita del Regno unito dall’Ue. Trattative che partiranno formalmente solo quando il governo britannico comunicherà a Bruxelles la richiesta formale di divorzio attivando l’articolo 50. Sui possibili scenari però si inizia a ragionare, e lo si è fatto oggi a Roma, in un convegno di alto livello organizzato da Eunews e Hdrà (guarda il video dell’agenzia AskaNews), nel corso del quale l’ambasciatore facente funzione del Regno unito in Italia, Ken O’Flaherty, il capo della Rappresentanza della Commissione europea a Roma, Beatrice Covassi, il direttore di Nomisma Andrea Goldstein e l’amministratore delegato di Falk Renewables, Andrea Volpe si sono confrontati con una platea di parlamentari, rappresentanti di prestigiosi think tank e addetti ai lavori interessati a capire le sorti dell’Ue, dell’Italia e del Regno unito dopo la Brexit.
Covassi ha manifestato la “tristezza” della Commissione europea per l’esito del referendum del 23 giugno, sottolineando però che l’esecutivo comunitario è “molto determinato a continuare a lavorare per il progetto europeo”, e “non c’è panico” su come affrontare i negoziati. C’è la conferma che Bruxelles attenderà la richiesta ufficiale di Londra, senza la quale “non è il caso di iniziare trattative sottobanco”. Intanto si registra la coincidenza di vedute tra Ue e Regno unito su un aspetto: “Noi abbiamo detto out is out – ha ricordato Covassi – e la premier britannica ha dichiarato che Brexit is Brexit”.
Saranno i negoziati a declinare questa comune intenzione, ma O’Flaherty assicura: “Pur volendo uscire dall’Ue, non volteremo le spalle ai nostri amici, perché rimaniamo un paese europeo dal punto di vista culturale e sentimentale”. La preoccupazione britannica è certamente quella di non perdere terreno in economia. “Rimaniamo un Paese aperto agli investimenti e abbiamo intenzione di impegnarci al massimo per essere attrattivi per gli affari”, ha aggiunto il diplomatico, rimarcando che il suo governo “vuole continuare a partecipare al Mercato unico europeo” e per questo “dovremo trovare una soluzione”.
Il problema principale per gli investitori, in effetti, sarà proprio capire quale sarà il nuovo rapporto della Gran Bretagna con il mercato unico europeo. L’impatto della Brexit, ha indicato Goldstein, non riguarderà tanto chi ha investito oltremanica per servire il mercato britannico, quanto “chi ha investimenti nel Regno Unito per servire il mercato Ue”. Quale che sia lo scenario, dall’“improbabile mantenimento di una stretta associazione, al modello norvegese, al modello Wto”, ha ammonito il ricercatore, “la crescita del Regno unito sarà più bassa, e questo avrà un impatto sull’Italia che dall’interscambio con l’Uk “ha il secondo avanzo primario dopo quello con gli Stati uniti”. Impatto che varierà per area geografica, come indica lo studio Nomisma sugli effetti della Brexit, e per settore produttivo, con quello vitivinicolo che rischia di più rispetto ad altri.
Un settore che invece non soffre, almeno per ora, è quello dell’energia. “Per un’azienda che fa rinnovabili nel Regno Unito non è successo nulla” con il referendum Brexit, ha assicurato Volpe, segnalando che Falck renewables ha “circa la metà del proprio business in Gran Bretagna”. A dispetto di ciò, il manager non è sembrato affatto preoccupato, e anche O’Flaherty ha contribuito con ulteriori rassicurazioni sul fatto che non ci saranno cambiamenti rispetto alle politiche energetiche britanniche. Se nel Regno unito “si è investito tanto nelle rinnovabili e nel nucleare non è per l’appartenenza all’Ue”, ha spiegato l’ambasciatore, “ma la consapevolezza del pericolo dei cambiamenti climatici”. A rimetterci di più nel campo delle rinnovabili, secondo Volpe, è proprio l’Ue, che “perde un Paese leader, che ha spinto molto in termini di decarbonizzazione”. Ma anche in campo energetico, la cooperazione tra l’Ue e Londra dipenderà dalle nuove relazioni che verranno stabilite nei negoziati.