Bruxelles – Il 1º luglio scorso, su entrambe le sponde della Manica si sono svolte cerimonie per commemorare il milione di giovani britannici, francesi e tedeschi caduti o feriti nella battaglia della Somme che sono diventati il simbolo collettivo dell’orrore, dell’anonimia, della spietatezza e dell’assoluta inutilità della Grande Guerra. Cinque mesi di massacro per far avanzare di cinque miglia le posizioni britanniche. Il più alto numero di vittime nell’intera storia militare del Regno Unito. La completa assenza di umanità. Paradossalmente, da questa terribile prova sono scaturite, sia nella prosa che nella poesia, alcune delle opere più significative e toccanti del XXº secolo. Infatti, ciò che è forse meno noto riguardo al primo conflitto mondiale è che in esso hanno combattuto più scrittori e poeti che in qualsiasi altra battaglia della storia.
Ma come esce, l’Europa del 2016, dal confronto con quella di cent’anni prima? Direi che ne esce decisamente bene. L’Europa è oggi il continente più prospero del mondo, governato dalla democrazia, dalla libertà e dallo Stato di diritto. Viviamo in pace ormai da più di 70 anni. Destiamo l’ammirazione di molte altre nazioni e dei loro cittadini. Purtroppo, però, è proprio questa prospettiva storica positiva che abbiamo perso di vista nel corso degli ultimi dieci anni. È come se l’Europa finalmente unita stesse ora implodendo, fomentando le divisioni e soffocando deliberatamente le opportunità, l’ottimismo e le speranze che con tanto impegno ci siamo sforzati di creare e alimentare in questi sei decenni.
Al pari di molti altri cittadini europei, anch’io sono profondamente colpito, deluso, “ferito”, dal risultato del referendum britannico. Da un giorno all’altro sono come svaniti 43 anni di cooperazione, dialogo e fiducia reciproca. Purtroppo, il dibattito sulla Brexit ha incanalato le molteplici frustrazioni, le paure e il risentimento dei cittadini del Regno Unito, con gli euroscettici che sperano ora in un referendum analogo in Francia, in Danimarca, nei Paesi Bassi, in Austria, in Ungheria e in Polonia. Quanto è corta la nostra memoria! Tuttavia, la volontà dei cittadini britannici deve essere rispettata, e mettere in discussione l’esito del referendum non farebbe che approfondire il solco creatosi fra i cittadini e le istituzioni politiche. Per i prossimi mesi, il fattore decisivo sarà senza dubbio l’opinione pubblica del Regno Unito: in che direzione si evolverà e come troverà espressione nella classe politica britannica.
A livello europeo, ma anche dei singoli paesi, è indispensabile che i 27 Stati membri colgano l’occasione e dimostrino che l’UE può portare avanti il suo progetto e produrre risultati concreti e positivi in termini di crescita sostenibile, creazione di posti di lavoro di qualità, sicurezza e lotta al terrorismo, gestione dei rifugiati e della migrazione. In un’ottica a più lungo termine, si tratta di dimostrare che l’Europa può occuparsi dei suoi cittadini, e che ciò significa che essa dovrebbe fare a volte di più e a volte meno. Analogamente, oggi abbiamo bisogno di un’Europa sufficientemente matura da riconoscere che il suo futuro può essere solo quello di un organismo diversificato e a più velocità. Sarebbe ingenuo, dal punto di vista politico, continuare a credere in un obiettivo o modello unico per l’UE, da realizzare nello stesso tempo ed esattamente nello stesso modo in tutti gli Stati membri. Detto ciò, è anche di cruciale importanza che a livello nazionale, i benefici e le opportunità offerti dall’appartenenza all’UE siano fatti conoscere in modo efficace dalle autorità nazionali e dagli attori locali, permettendo così ai cittadini di prendere decisioni informate.
Come Winston Churchill rispose, nel 1946 a Zurigo, a chi gli chiedeva quale potesse essere il rimedio per salvare l’Europa dalla sua “sofferenza senza fine”, “bisogna ricreare il tessuto europeo (…) e dotarlo di una struttura che permetta all’Europa di vivere in pace, in sicurezza e in libertà. Pertanto io vi dico: lasciate che l’Europa sorga!“.
Ma oggi, nel 2016, chi potrà e dovrà ricreare questo tessuto europeo? Sono fermamente convinto che, oggi più che mai, la società civile, gli enti locali, le città, le regioni e i cittadini debbano dar prova di solidarietà tra di loro e in particolare nei confronti dei cittadini britannici. Perché non avviare con il Regno Unito una cooperazione “da città a città”: di Amsterdam con Londra, di Milano con Manchester? Perché non creare programmi paneuropei di scambio, sul modello dell’Erasmus, per gli agricoltori, gli artigiani, i giovani lavoratori? Perché non promuovere e diffondere un servizio civile europeo? Perché non offrire l’opportunità, all’interno del CESE, di un dibattito, esteso a tutta l’UE, sulle priorità della società civile per l’Unione, con il lancio di uno Stato dell’Unione dei cittadini già nel mese di settembre? Perché non incoraggiare tutti i cittadini europei a gustare il frutto di sessant’anni di pace, di cooperazione e di dialogo?
Cari amici, nel ciclo senza fine della storia umana, dove possiamo dare un senso al nostro presente e futuro soltanto ricordando il nostro passato, permettetemi di rammentare qui le migliaia di tombe di soldati britannici sparse in tutta la Normandia, in Sicilia, a Creta. Giovani che hanno perso la vita affinché noi “europei” potessimo essere liberi ed uniti. Uniti nel 1945, uniti nel 2016, uniti in quanto cittadini nei nostri sogni, nelle nostre speranze e nel nostro futuro!
Luca Jahier è Presidente del gruppo Attività diverse del Comitato economico e sociale europeo