Varcata la soglia degli anni 2000 pensavamo di esserci lasciati alle spalle molte cose: un paio di guerre mondiali, una competizione bipolare tra superpotenze nucleari, ideologie politiche in piena contrapposizione, qualche pesante crisi economica e politica e tanto altro.
Al momento possiamo dividere le situazioni in due categorie, situazioni che è possibile impedire (ad esempio far si che Renzi non continui a parlare inglese e togliere twitter a Gaspari) e alcune, ben peggiori che prima o poi si ripresentano,lentamente e sotto diverse spoglie.
In fondo la Storia è costituita dal ripetersi costante di fenomeni e idee, quelli che efficacemente Gianbattista Vico chiamava corsi e i ricorsi storici.
In questo caso, a tornare più forti che mai sono i populismi nazionalisti, che pensavamo aver seppellito dopo gli anni ’20 e ’40.
La classe politica continentale, che prese il potere dopo i due grandi conflitti, era ben consapevole che le fondamenta sulle quali l’Europa distrusse se stessa era l’egoismo nazionale, ovvero quel sentimento di amore verso la propria patria che diventava marcio attraverso l’odio dell’altro e del vicino.
Il progetto europeo, voluto fortemente da statisti lungimiranti quali Spinelli, Schuman, De Gasperi, Jean Monnet, Adenauer, rappresentava lo strumento attraverso il quale superare le divisioni tra nazioni e creare un nuovo popolo, il popolo europeo.
Diciamocelo chiaramente, quel sogno al momento è incompleto e cigola in modo vistoso, specialmente per l’emergere di una nuova union sacrèe di caratura internazionale composta dalle destre populiste europee e non solo, una nuova alleanza che appare oggi più che mai inquetante.
In Austria si è sfiorata l’elezione di Hofer, personaggio che non ha mai rinnegato le proprie radici filo-naziste, in Francia Marine Le Pen, nonostante la battuta d’arresto delle elezioni regionali, continua a mantenere un elevato tasso di consensi, negli Usa la situazione non è meno complicata, con l’èxploit del miliardario Donald Trump, le cui somiglianze con l’eccentrico Boris Johnonson non si limitano solo al discutibile hairstyle.
In Italia possiamo anche noi vantare nomi di un certo calibro quali il twittatore selvaggio Matteo Salvini, e il nuovo volto bandiera degli ex-missini Giorgia Meloni.
Aggiungerei alla nefasta lista i 5 stelle, che nonostante i proclami e i giri di valzer da far invidia ai nostalgici dell’UDC, sono completamente assimilabili a questa categoria, come dimostra chiaramente la forte alleanza con Farage all’Europarlamento.
Ora è chiaro che i movimenti di destra spaventano, ma dobbiamo anche tener conto che il bacino elettorale di questi è limitato e difficilmente, a livello nazionale, riuscirebbero a pescare consensi nel voto moderato e d’opinione, che poi nei fatti è il voto che determina il vincitore.
E’ una consapevolezza che loro stessi hanno, che gli permette uno stile comunicativo aggressivo e d’impatto e che li porta, spesso, a grossi azzardi retorici.
E’ però altrettanto indubbio il peso che possono avere sul dibattito e sull’agenda politica europea e nazionale.
Per arginare populismo e nazionalismi è impensabile continuare (vedi David Cameron) ad appiattirsi sui loro temi e sulle loro battaglie, ma è necessario muoversi nel senso diamentralmente opposto, essere duri come una corazzata statunitense e più veloci di un panzer tedesco. Farsi inseguire e non rincorrere, questa è la strategia da perseguire.
Non si distruggono questi movimenti, rimasti marginali dagli anni venti fino a questo momento, giocando nel loro campo e con le loro regole, ma dimostrando che esiste una via alternativa e che quella via rappresenta la soluzione giusta, da mettere in atto per il bene della democrazia e per il bene di tutti.