di Monica Di Sisto*
Il TTIP non si ferma. Il ministro allo sviluppo economico Carlo Calenda lo ha ammesso [pochi giorni fa], intervenendo all’incontro organizzato alla Camera dei deputati dalla campagna “Stop TTIP” insieme a organizzazioni non solo civiche come Greenpeace, Legambiente, Fairwatch. Movimento Consumatori, ma anche di produttori come Coldiretti, Slow Food, e di lavoratori come CGIL.
Il problema che ha il commercio europeo in questo momento è che se i trattati commerciali e le liberalizzazioni devono passare per le ratifiche degli Stati nazionali, oltre che dal Parlamento europeo, non arriveranno mai in fondo. E nessuno tratterà mai più con l’Europa che – essendo uno spazio commerciale con dazi bassi – rischia di essere invaso da tutti i prodotti del globo senza poter aggredire nessun altro mercato. Quindi, ha detto Calenda, o gli Stati affidano alla Commissione il timone pieno del negoziato TTIP con gli Stati Uniti, ma anche della conclusione più rapida possibile di quello con il Canada (CETA) rinunciando alle ratifiche, oppure la pagheremo in ricchezza e competitività. Calenda, d’altronde, ha rivendicato d’aver chiesto alla commissaria al commercio europeo Cecilia Malmström di rivendicare di poter chiudere in Europa la partita del CETA, senza passare dagli Stati membri. Ma al ministro Calenda abbiamo avuto il piacere di comunicare che avevamo ragione noi, e che la stessa Commissione, mentre noi eravamo insieme, ha dovuto acconsentire al fatto che il trattato con il Canada passi per il vaglio dei parlamenti nazionali.
Una scelta che abbiamo strappato dopo mesi di pressioni dei movimenti su Commissione europea e governi nazionali, ma che rischiamo che venga aggirata perché, tra le pieghe della resa, la Commissione ha ottenuto dai governi che, mentre i parlamenti si esprimono, una parte del trattato con il Canada «almeno le tariffe e un po’ di regole base», ci ha spiegato Calenda, entreranno in vigore. Il CETA, però, è una copia in miniatura del TTIP: oltre all’impianto generale molto simile, vi è il fatto che le imprese statunitensi hanno oltre 40mila sussidiarie in Canada. L’accordo metterebbe su un piatto d’argento la possibilità di aggredire mercati e legislazioni europee «per interposta nazione». Il metodo, poi, con cui verrebbe imposto è quello che rischiamo di vedere applicato anche nel caso del TTIP. Ovvero un alleggerimento delle procedure e dei contenuti per approvarlo a tutti i costi, sotto il ricatto dell’ennesimo fallimento della politica europea dopo Brexit.
Questo è un ricatto che riteniamo inaccettabile. Che cosa dovremmo offrire a Stati uniti e Canada in cambio del valore che lascia il tavolo con l’uscita della Gran Bretagna dall’Europa. Che cosa siamo pronti a svendere e a liberalizzare ancora? Per la campagna “Stop TTIP” il passo successivo è quello di continuare a tenere i negoziati sotto controllo, ampliare il dibattito pubblico e aumentare le pressioni perché TTIP e CETA vengano fermati. Quello che è certo è che abbiamo bisogno di una profonda revisione della politica commerciale europea. Per questo insieme alle oltre 600 organizzazioni europee che si battono contro il TTIP e il CETA, rilanciamo la settimana di mobilitazione in occasione dell’apertura del quattordicesimo round negoziale sul TTIP, previsto a Bruxelles dal 12 luglio.
Il 13 luglio, quando la Commissione europea presenterà a Roma la valutazione d’impatto del TTIP sullo sviluppo sostenibile, in tutta Italia si svolgeranno iniziative creative per tenere alta l’attenzione dell’opinione pubblica e bloccare questi trattati avviando, al loro posto, una profonda revisione della politica commerciale europea e dei meccanismi istituzionali che la governano.
*portavoce della campagna stop TTIP Italia