di Martin Fritzl
Dopo che la Corte costituzionale austriaca ha annullato il ballottaggio per le presidenziali a causa dei brogli, a settembre il popolo austriaco tornerà a votare, con buone probabilità che vinca il partito nazionalista austriaco FPÖ. In questa intervista di Die Presse, il segretario del partito, Heinz-Christian Strache, chiarisce la posizione del suo partito nei confronti della UE.
Die Presse: dopo la Brexit arriverà una Auxit?
Heinz-Christian Strache: rispettiamo questa decisione realizzata tramite l’esercizio della democrazia diretta e ci congratuliamo coi cittadini britannici per aver ripristinato la loro sovranità e la loro libertà. Il risultato del referendum rappresenta una conquista democratica contro un centralismo unionista profondamente mal diretto. È adesso necessario che l’Unione europea e i suoi responsabili politici prendano atto di questo risveglio democratico.
La questione fondamentale è: l’Austria deve seguire la stessa strada?
A questo punto dobbiamo esigere che l’Unione europea imbocchi la strada delle riforme. È questo il punto decisivo. L’Unione ha bisogno di una vasta e profonda riforma in senso democratico. Juncker e Schulz devono immediatamente liberare il campo offrendo le proprie dimissioni. Bruxelles deve restituire tutta una serie di competenze ai parlamenti nazionali. E finché persiste il caos attuale bisogna sospendere gli accordi di Schengen. Vogliamo avere la possibilità di decidere chi può e chi non può rimanere fra noi.
Allora non avete intenzione di lanciare un’immediata campagna per la fuoriuscita dell’Austria?
No, abbiamo bisogno di un’Europa della gente e non dei burocrati. L’Unione deve darsi una sveglia. Finora le decisioni le hanno prese burocrati lontani dai cittadini. Al giorno d’oggi le élite portano avanti una politica indirizzata contro i cittadini e i popoli europei. Se invece l’Unione dovesse perseverare nel suo rifiuto di cambiare, nel suo centralismo e magari provare a incorporare stati come la Turchia, allora il partito della libertà chiederà un referendum sulla permanenza nell’Unione.
In che tempi vorreste realizzare questo processo di riforma interna dell’UE?
Non c’è nessuna fretta, nessun bisogno di scaldare gli animi. Il referendum britannico non è la fine del mondo. Bisogna iniziare una serie di discussioni in vista della riforma dell’Unione. L’obiettivo è una nuova serie di accordi che vadano in direzione di un’unione economica. Naturalmente alla fine questi accordi dovranno essere legittimati per via referendaria.
Pensa a un orizzonte di mesi, anni o decenni?
Di certo un programma di riforme del genere non lo si completa in un paio di mesi. Come ho sempre detto è l’ultima ratio: se l’Unione europea rifiuterà di riconoscere i propri errori non potremo più stare a guardare. A quel punto una Auxit tramite referendum sarà una possibilità.
Ho capito bene: secondo lei l’UE deve cessare di essere un’unione politica e divenire un’unione puramente economica?
Precisamente. Ha capito benissimo. Il progetto originario europeo, quello di un’Unione fondata sulla cooperazione economica e, per questa via, in grado di garantire la pace, era giusto. Ma è stato messo a repentaglio dall’attuale progetto di un’unione politica e centralizzata.
Il mercato del lavoro dev’essere salvaguardato?
Certo, sulla base di accordi precisi. Tuttavia vogliamo delle correzioni di rotta anche in questo campo. Non è possibile che aziende dell’Europa orientale abbiano la possibilità di operare in territorio austriaco sulla base di accordi salariali e normative fiscali diverse da quelli locali. In questo campo bisognerà garantire più giustizia ed equità.
Pubblicato su Die Press il 24 giugno 2016. Traduzione di Voci dall’Estero rivista da Thomas Fazi.