Bruxelles – Quando un richiedente asilo arriva in un paese dell’Unione europea, come sta succedendo in maniera sempre più massiccia nell’ultimo anno, non ha bisogno solo di alloggio, assistenza sanitaria, istruzione e protezione sociale, ma anche di lavoro. Lo ricorda il Parlamento europeo che, riunito in sessione plenaria, ha approvato una risoluzione non vincolante per “introdurre la possibilità per i rifugiati e i richiedenti asilo di lavorare nei loro Paesi di accoglienza affinché ciò “possa non solo aiutarli a ritrovare una dignità, si legge nel testo, ma anche ridurne, trasformandoli in contribuenti, l’onere sui bilanci pubblici”.
Attualmente un richiedente asilo, appena arrivato nel paese in cui fa la domanda per ottenere lo status di rifugiato non può lavorare per un periodo di tempo che varia da paese a paese. La legislazione europea prevede un limite massimo di nove mesi, mentre in Italia è stato recentemente abbassato a due mesi.
Nel testo approvato dal Parlamento europeo non viene specificato un limite di tempo, ma si chiede che “l’inserimento del richiedente asilo nel mercato del lavoro avvenga al più presto”, ha spiegato il relatore, l’europarlamentare Pd Brando Benifei, dei Socialisti e Democratici.
La risoluzione, considerata il primo testo ufficiale del Parlamento ad affrontare il tema dell’integrazione lavorativa dei rifugiati, è stata approvata con larga maggioranza: 486 voti favorevoli, 189 voti contrari e 28 astensioni. “Anche il Ppe ha partecipato costruttivamente, ha commentato soddisfatto Benifei in conferenza stampa, scegliendo di essere pragmatici e riconoscendo che non ci può essere integrazione senza il sostegno delle autorità pubbliche per evitare il dumping sociale e le paure dei paesi che accolgono”. Hanno votato contro alcuni europarlamentari dell’estrema destra come Marine Le Pen, Matteo Salvini e Nigel Farage, voto di cui il relatore ha detto di essere “orgoglioso”.
Quello che la risoluzione vuole introdurre è un approccio unitario per tutta l’Europa ai due grandi problemi dell’asilo e del lavoro, senza dimenticare che le procedure di accesso per entrambi “differiscono notevolmente in tutta l’UE e come anche fra i rifugiati sussistano grandi differenze in età, istruzione e competenze di lavoro”.
Con il Rapporto di iniziativa parlamentare sull’integrazione dei rifugiati nel mercato del lavoro UE per la prima volta si parla di accoglienza e lavoro non più come di due ambiti divisi, ma perfettamente integrabili. Una delle misure previste dai programmi di accoglienza è quella dell’insegnamento della lingua del paese ospitante. Per un rifugiato o richiedente asilo imparare la lingua significa rompere il primo muro con la nuova realtà d’arrivo, ma unita al lavoro può abbatterne altri. I deputati, con questo testo, invitano gli Stati membri a istituire “un sistema di formazione linguistica che colleghi strettamente la formazione linguistica generale a quella professionale”. Non è stata accolta, invece, nel testo la possibilità di estendere la blu card, il permesso per l’emigrazione qualificata, anche ai richiedenti asilo, nonostante la prima versione del testo la contemplasse.
Il contesto in cui si inserisce l’iniziativa è quello della pesante disoccupazione giovanile che colpisce da anni soprattutto i paesi del sud Europa, meta principale dell’arrivo dei richiedenti asilo. Per questa ragione “l’assistenza ai rifugiati e richiedenti asilo non dovrebbe essere finanziata a scapito di programmi per altri gruppi svantaggiati, ma con nuovi finanziamenti”.
Soluzioni per i rifugiati non significano, dunque, favorire mercati del lavoro speciali, che
potrebbero dar vita a un’economia a due velocità. Non la pensa così la capogruppo di Forza Italia al Parlamento europeo Elisabetta Gardini che attacca i democratici dicendo che “per il Pd in Europa i rifugiati vengono prima dei nostri cittadini”. Secondo Gardini le misure proposte da Benifei garantiscono lavoro ai rifugiati “alla faccia dei tre milioni di disoccupati! Renzi continua a prendere in giro gli italiani”.
L’europarlamentare del Pd, invece, ha spiegato che di fronte al mare magnum della disoccupazione la soluzione è quella di un intervento unitario, per rifugiati e non: un salario minimo nazionale uguale per tutti. Il dibattito sul salario minimo è particolarmente accesso in questo periodo in Germania, dove si pensa a differenziazioni che creano quella che Benifei definisce una “concorrenza sleale fra lavoratori paesi ospitanti e rifugiati”.
“La cosa più importante, spiega il relatore del Pd, è che per la prima volta chiediamo alla Commissione che il Fondo sociale europeo venga portato al 25% del bilancio della Politica di coesione, per destinare maggiori risorse alle autorità locali e alle associazioni che nei territori si occupano dell’accoglienza”.
Più risorse economiche significano “non costringere gli Stati a fare delle scelte nell’affrontare l’emergenza lavoro, sottolinea Benifei, e quindi non correre il rischio che le risorse per l’integrazione vengano sottratte ad altre categorie vulnerabili quali giovani disoccupati, disoccupati di lungo periodo, disabili.” Inoltre, più fondi per tutti “tolgono spazio ai discorsi dell’estrema destra”, ha concluso il relatore, “affrontare il problema dei rifugiati è un dovere umanitario, ma anche un’opportunità per tutti”.