Il Brexit finisce per avere ripercussioni anche linguistiche sull’Unione europea e molti oggi stanno ragionando sulla legittimità della permanenza della lingua di Nigel Farage fra le lingue ufficiali dell’Unione europea. Ogni paese aderisce all’UE con una lingua ufficiale e il Regno Unito a suo tempo aderì con l’inglese. Oggi la sua uscita priva l’inglese della sua ufficialità. Almeno teoricamente. Legalmente serve un cambiamento dei trattati per modificare il regime linguistico e questo sembra molto improbabile. Ma sull’onda dei sentimenti antibritannici suscitati dall’esito del referendum inglese, qualcuno trova buone ragioni per chiudere fuori dall’Ue, assieme ai perfidi albionici, anche la loro invasiva lingua.
Al contrario, questa sarebbe proprio l’occasione per una rivoluzione, non solo linguistica ma anche mentale nella percezione che abbiamo delle lingue e del loro ruolo in Europa. Il principio che ci deve guidare è che le lingue non appartengono a governi, Stati o accademie ma alla gente che le parlano. La lingua inglese non è quindi del Regno Unito o degli Stati Uniti o di qualsiasi altro Stato che lo dichiara sua lingua ufficiale, ma dei milioni di persone che nel mondo lo usano quotidianamente per capirsi.
Non abbiamo quindi bisogno degli inglesi per parlare l’inglese. Ce l’hanno dato, anzi imposto, ora ce lo teniamo e lo facciamo nostro. Non è accaduto lo stesso al latino, che da lingua di Roma è diventata lingua di tutta l’Europa, continuando ad essere la lingua comune della cultura europea anche quando il dominio di Roma era finito da secoli?
Quando lo storico danese Saxo Grammaticus scriveva in latino le Gesta danorum, qual era la sua lingua? Sicuramente il danese, ma anche il latino. Così dobbiamo fare noi con l’inglese.
La questione linguistica europea deve quindi essere ribaltata. Oggi con il Brexit chi esce dall’UE è uno Stato, non la sua cultura, non la sua lingua. Quelle continuano a essere anche nostre, perché per fortuna in Europa non hanno mai avuto frontiere.
Teniamoci dunque l’inglese, anzi cogliamo l’occasione per generalizzarne l’insegnamento in modo serio a tutti i livelli di istruzione. In questo modo, nel giro di qualche generazione si diffonderà una variante europea di inglese che sarà il risultato della contaminazione dell’inglese britannico da parte delle nostre lingue. Un inglese europeo, insomma, che gli inglesi non capiranno più.
Ma vi rendete conto dell’opportunità che la storia ci offre? Vogliamo perderci la soddisfazione di chiedere a un inglese: “Do you speak English?”