Bruxelles – Le possibile strategie per costringere la Gran Bretagna ad attivare le pratiche di separazione dall’Unione europea al più presto, così come chiedono i leader del Ventisette, si arricchiscono oggi di una nuova, estrema, ipotesi.
La questione è nota: perché un Paese membro lasci l’Ue è necessario che il governo di questo Paese notifichi formalmente al Consiglio europeo (segretariato generale) la volontà di uscire. Fatto questo si attivano le procedure previste dall’articolo 50 del Trattato sull’Unione europea. In Gran Bretagna il referendum consultivo e dal valore legalmente non vincolante tenutosi il 23 giugno ha stabilito che il 51,9 per cento dei votanti vuole lasciare l’Unione. A questo punto a Bruxelles ci si aspetta che il governo faccia la comunicazione della volontà di avviare le pratiche di separazione, atto che solo il governo di Londra può compiere. Ce lo si aspetta perché la Gran Bretagna è una democrazia e il popolo si è espresso in maniera inequivocabile, e dunque il governo non può non dar corso alla richiesta. Nessuno, tra i Ventisette avrebbe voluto questo esito, ma anche tutti i Ventisette vogliono evitare periodi di incertezza e anche dare un messaggio chiaro di forza e di non cedevolezza ad altre forze leavers in giro per l’Europa. Con l’Unione non si scherza, dicono i leader, non ci sono negoziati per star dentro in maniera “diversa”, e se uno vuole uscire la porta è aperta (pur con dolore) e la si attraversi il più in fretta possibile. “Out is Out” ha detto Jean Claude Juncker.
A Londra però si tentenna, lo fanno i leavers perché non sanno che pesci prendere, e lo fanno anche i remainers, che si attaccano ad ogni intravista, fin anche illusoria, possibilità di un passo indietro. Ma la linea dei Ventisette pur se chiara è disarmata. Apparentemente, oltre a pressioni di ogni tipo, come “favorire” le dimissioni del Commissario europeo britannico e prepararsi magari a rifiutare a catena le prossime nomine di un sostituto che comunque avrà un portafoglio molto leggero, o emarginare i funzionari di più altro grado, o rendere la vita difficile ai parlamentari, non può fare. Non esiste uno strumento legale per imporre a Londra di compiere il passo o di accelerarlo. O forse sì.
Qualche giornale scrive oggi di una tesi che circola da qualche giorno a Bruxelles. Un tentativo estremo, forse anche impossibile, certo politicamente rischiosissimo e forse dilaniante. Negli uffici giuridici delle istituzioni si starebbe valutando la possibilità di attivare l’articolo 7 del Trattato di Lisbona, che prevede la sospensione del diritto di voto di uno Stato membro negli organismi comunitari. La procedura è complessa e garantista, ma in sostanza si prevede che se uno Stato non rispetta i fondamenti di democrazia sui quali si basa l’Unione può essere così punito. Lo si fece con l’Austria ai tempi di Haider.
Non c’è alcuna certezza sul fatto che questo lavoro sia davvero portato avanti nella Commissione o nel Consiglio. Potrebbe essere solo un’idea di qualche funzionario che ha trovato sponda nella stampa. Un’idea tesa, spiega un osservatore, “per far paura” alla Gran Bretagna, ma “molto pericolosa, sarebbe un’intromissione in affari interni di un Paese membro, proprio una delle cose delle quali viene accusata l’Unione da chi la contesta. Sarebbe controproducente”.
Qualcuno che è coinvolto in questo dossier ritiene che questa, se davvero sul tavolo, “sarebbe una soluzione estrema, da esplorarsi solo come estrema ratio in caso di ostruzionismo ad oltranza”. Inoltre, si osserva, “spaccherebbe l’Unione, alcuni Paesi sarebbero certamente contrari, come quelli del gruppo di Visegrad (Polonia, Ungheria, repubblica Ceca e Slovacchia)”, e certamente i Ventisette, lo hanno detto e scritto nelle conclusioni del vertice di mercoledì, non potrebbero accettare alcun tipo di spaccatura, ora che hanno deciso di mostrasi uniti in questa spinosa vicenda, ed anzi di lavorare ad un rilancio dell’Unione.
DOCUMENTI
Articolo 7
1. Su proposta motivata di un terzo degli Stati membri, del Parlamento europeo o della Commissione europea, il Consiglio, deliberando alla maggioranza dei quattro quinti dei suoi membri previa approvazione del Parlamento europeo, può constatare che esiste un evidente rischio di violazione grave da parte di uno Stato membro dei valori di cui all’articolo 2. Prima di procedere a tale constatazione il Consiglio ascolta lo Stato membro in questione e può rivolgergli delle raccomandazioni, deliberando secondo la stessa procedura. Il Consiglio verifica regolarmente se i motivi che hanno condotto a tale constatazione permangono validi.
2. Il Consiglio europeo, deliberando all’unanimità su proposta di un terzo degli Stati membri o della Commissione europea e previa approvazione del Parlamento europeo, può constatare l’esistenza di una violazione grave e persistente da parte di uno Stato membro dei valori di cui all’articolo 2, dopo aver invitato tale Stato membro a presentare osservazioni.
3. Qualora sia stata effettuata la constatazione di cui al paragrafo 2, il Consiglio, deliberando a maggioranza qualificata, può decidere di sospendere alcuni dei diritti derivanti allo Stato membro in questione dall’applicazione dei trattati, compresi i diritti di voto del rappresentante del governo di tale Stato membro in seno al Consiglio. Nell’agire in tal senso, il Consiglio tiene conto delle possibili conseguenze di una siffatta sospensione sui diritti e sugli obblighi delle persone fisiche e giuridiche. 26.10.2012 Gazzetta ufficiale dell’Unione europea C 326/19 IT Lo Stato membro in questione continua in ogni caso ad essere vincolato dagli obblighi che gli derivano dai trattati.
4. Il Consiglio, deliberando a maggioranza qualificata, può successivamente decidere di modificare o revocare le misure adottate a norma del paragrafo 3, per rispondere ai cambiamenti nella situazione che ha portato alla loro imposizione.
5. Le modalità di voto che, ai fini del presente articolo, si applicano al Parlamento europeo, al Consiglio europeo e al Consiglio sono stabilite nell’articolo 354 del trattato sul funzionamento dell’Unione europea.
Articolo 2
L’Unione si fonda sui valori del rispetto della dignità umana, della libertà, della democrazia, dell’uguaglianza, dello Stato di diritto e del rispetto dei diritti umani, compresi i diritti delle persone appartenenti a minoranze. Questi valori sono comuni agli Stati membri in una società caratterizzata dal pluralismo, dalla non discriminazione, dalla tolleranza, dalla giustizia, dalla solidarietà e dalla parità tra donne e uomini.