Bruxelles – Passaporti e iscrizioni a scuola. Tasse e permessi di soggiorno. La Brexit potrebbe cambiare gli scenari europei in questi – e molti altri – settori. E se viaggi e burocrazia del post referendum sono stati al centro del dibattito degli ultimi giorni, non è successo lo stesso per gli aspetti tecnologici. Eppure l’addio di Londra all’Ue potrebbe far scomparire, almeno sui siti web britannici, i fastidiosi avvisi che chiedono il consenso all’uso di “cookie”, che da qualche mese compaiono a inizio o fine pagina su tutti i siti web dopo essere stati introdotti dal regolamento europeo nel 2012.
Le norme Ue, come stabilito dalla direttiva sulla privacy, prevedono la richiesta del consenso ai cittadini per il trattamento dei loro dati quando navigano sul web. E queste regole sono state adottate dalle leggi nazionali nel Regno Unito con il “Privacy and Electronic Communications Regulations”. Rimuovere gli avvisi dunque, non richiederebbe solo che la Gran Bretagna lasciasse l’Ue, ma che riscrivesse le sue leggi in materia. I cookie però, non saranno certo la priorità dell’agenda del governo britannico dopo Brexit. Spiega il capo della cybersicurezza di Pwc Legal, Stewart Room, al The Telegraph: “Anche se può darsi che il Regno Unito prenderà una strada diversa su questi temi una volta lasciata l’Unione, il governo avrà molti problemi urgenti per far fronte alle conseguenze del referendum, quindi è improbabile che vedremo qualche modifica alla legge sui cookie, dato che questo non era stato un argomento ampiamente coperto durante i dibattiti della campagna”.
Da considerare anche il fatto che Londra ha già espresso la sua volontà di rimanere all’interno del “single market”, come ha confermato anche Boris Johnson. Se così fosse, le regole della protezione dei dati dovrebbero rimanere in linea con quelle europee, cookie compresi. Così, per chi sperava di essersi liberato dei fastidiosi avvisi, almeno sui siti inglesi, le possibilità che questo davvero si realizzi rimangono minime. Le politiche di privacy condivise da Londra con l’Ue, negli anni passati, si sono trasformate in legge. E cambiarle non sarà certo la priorità del nuovo inquilino del numero 10 di Downing Street.