A Bruxelles, e a Londra, ci si sgola a dire che, quando e se i negoziati per la Brexit saranno aperti, fino al loro termine la Gran Bretagna resterà un membro a pieno titolo dell’Unione europea. Dal punto di vista giuridico questo è assolutamente vero, è scritto nel famoso articolo 50 del Trattato di Lisbona. Ma è un po’ come dire che nel Consiglio europeo la Lituania conta quanto la Germania.
Ogni Paese membro dell’Unione ha pari dignità e peri diritti, ma è vero in questo consesso, come in molti altri, che i voti non contano, ma si pesano. Anche quando, nelle rare volte che, è chiesto un voto all’unanimità, molti Stati, soprattutto quelli con vertenze delicate aperte con l’Unione o con singoli stati più grandi, debbono fare buon viso a cattivo gioco ed adeguarsi.
Nell’Unione quasi nessuna politica ha un respiro (almeno, nelle intenzioni) inferiore al medio periodo; praticamente nessuna regolamentazione, eccettuate quelle giudicate di eccezionale urgenza, viene approvata in meno di due anni ed entra in vigore in meno di tre o quattro. Il periodo di negoziazione una volta aperta la procedura di divorzio dovrebbe durare due anni, eventualmente di più, se ci sarà un voto unanime del Consiglio europeo. Ma per ora il termine che si auspica di rispettare è quello biennale, anche se il presidente Donald Tusk ha già detto che ce ne vorranno forse sette, ma non è detto che in tutti questi sette la Gran Bretagna resti membro, alcune cose possono ed anzi dovranno essere implementare anche nel tempo.
Dunque Londra sarà un membro “a pieno titolo” ma a scadenza, le sue posizioni e la sua forza negoziale, soprattutto se sostenute da un premier che si è schierato per la separazione, saranno enormemente depotenziate. Chi potrebbe allearsi, aspettandosi qualcosa in cambio a livello comunitario, magari su altri dossier futuri, con un partner che sta per andare fuori dalla porta? Uno contrappeso potrà essere, e sarà di certo, il peso che il Regno Unito comunque manterrà come una delle prime potenze economiche e politiche mondiali.
Anche per questo, non solo per l’impreparazione del leader leaver a gestire il dopo referendum, la Gran Bretagna punta i piedi e chiede tempo per aprire la pratica: perché il giorno che lo farà non avrà due anni di pieni diritti, ma di una sorta di “ammortizzatore comunitario”, di accompagnamento “sereno”, come il premier spagnolo ha annunciato saranno i negoziati, verso l’uscita. Come un palloncino che si sgonfia, forse più in fretta di quanto il bambino che lo esibiva si aspettasse.