In fondo cos’è il referendum Brexit? E’ l’esempio estremo di quel che può accadere in un’Europa non all’altezza nella quale, però, e questo è fondamentale, i governi e la politica in generale, non solo quella più populista, scaricano tutte le loro responsabilità.
Era quasi ovvio che la crisi manifestata dalla istituzioni europee in questi ultimi anni colpisse più forte lì dove da sempre la spinta europeista è stata più debole, più contrastata. Anche i governi britannici più vicini a Bruxelles, da sempre, hanno tenuto le loro distanze; per esemplificare si usano sempre i casi del Trattato di Schengen e della moneta unica, progetti dai quali Londra, con ogni governo, si è sempre tenuta alla larga. Anche gli europeisti scozzesi non hanno mai pensato di raggiungere la moneta unica. Ma in realtà la Gran Bretagna è fuori da oltre cento politiche comuni, comprese quelle sui diritti umani (non che non li rispettino, ma non vogliono condividere prassi e impegni con i partner).
Le cose non vanno bene al di là della Manica. I governi di David Cameron e gli ultimi anni di quelli laburisti non sono riusciti a frenare il gap sociale che sempre più divide ricchi e poveri, che anzi si è andata aggravando. Non sono riusciti, pur in un Paese molto aperto da decenni, a gestire l’immigrazione, neanche quella di qualità. Non ci sono abbastanza medici britannici, da tempo si ricorre a quelli europei o extraeuropei, ma ora i sostenitori del Leave affermano che le gravi carenze negli organici medici ed infermieristici sono dovute al fatto che il governo non può fermare l’immigrazione di cittadini Ue, dunque, per non avere troppi stranieri in casa, non può andarsi a scegliere medici, infermieri e tecnici in Asia, o dove ne potrebbero trovare. Ragionamento paradossale, e tecnicamente falso. Come quello sui soldi dati all’Unione. E’ vero che la Gran Bretagna è un contributore netto, ma in quei conti i sostenitori dell’abbandono non contano mai i soldi che rientrano e, soprattutto, non dicono che si tratta di una cifra minima del budget britannico, che, anche se spesa solo all’interno del Paese (perdendo così ogni vantaggio che arriva dalla collaborazione economica con i partner) non cambierebbe assolutamente nulla nella possibilità di costruire asili nido o formare medici. Quei soldi continuerebbero ad andare a chi vanno ora, principalmente gli agricoltori o progetti di sviluppo locale.
La verità è che si tenta di addossare all’Europa (che non è immune da colpe, anzi, ne ha tante) tutte le responsabilità delle scelte sbagliate della politica britannica. E’ anche un bersaglio facile per partiti populisti e di scarsa capacità propositiva come l’Ukip (che probabilmente però da un’uscita dall’Unione sarebbero travolti). Tutto senza considerare in alcun modo che ad ogni scelta dell’Unione partecipano tutti i governi europei, e anche quasi sempre i rappresentanti dei cittadini eletti in Parlamento. Perché, ci si domanda, la Germania resta, e saldamente nell’Unione? Non è che ci restano solo i paesi più “poveri”, quelli che traggono un beneficio evidente anche ad uno sguardo superficiale. Ci restano e volentieri (nonostante qualche recente burrasca) anche i “ricchi”, quelli tutto sommato governati bene, che sanno fare sistema, quelli che capiscono che oramai nessun Paese europeo che voglia davvero proteggere i suoi cittadini, crescere e avere un ruolo nello scenario internazionale può farcela da solo.