Roma – Bisognerebbe “triplicare gli sforzi” per far aumentare gli investimenti in Europa, come chiede il presidente della Federazione banche, assicurazioni e finanza (Febaf), Luigi Abete, e “il Piano Juncker non è la panacea” per l’economia europea, come indica il vicepresidente della Banca europea per gli investimenti (Bei), Dario Scannapieco, ma con l’iniziativa voluta dalla Commissione Ue per stimolare la crescita qualcosa si muove: 106,8 miliardi investiti in 26 dei 28 Stati membri (Malta e Cipro vedranno avviati i primi progetti entro fine 2016), grazie a una mobilitazione iniziale di 17,7 miliardi del Feis, il Fondo europeo per gli investimenti strategici che costituisce il braccio finanziario del Piano Juncker. È questo il dato presentato oggi a Roma dallo stesso vicepresidente Bei, nel corso di un seminario organizzato da Febaf.
Certo, siamo ancora lontani dai 315 miliardi indicati dall’esecutivo comunitario. E il dato italiano – 2 miliardi del Piano Juncker ne hanno attivati 13,7 di investimenti pubblici e privati – indica quanto sia difficile rispettare le previsioni di un effetto moltiplicatore di 15 a 1 per le risorse europee impiegate. Del resto, anche a livello aggregato, i 17,7 miliardi impiegati finora avrebbero dovuto mobilitare 265,5 miliardi invece che 106,8. Ma per Abete l’operazione “ha ottenuto risultati migliori delle aspettative”. Tanto che, sottolinea Scannapieco, “c’è una forte domanda, in Italia e in Europa, per il prolungamento del Feis fino al 2018”.
Il settore sul quale principalmente si sono concentrate le risorse del Feis (27%) è quello delle attività incentrate su ricerca, sviluppo e innovazione. Alle piccole imprese, quelle che più di tutti faticano ad accedere al credito attraverso il tradizionale canale bancario, è stato assegnato il 25% dei fondi. L’energia costituisce il terzo polo di impiego con il 22% e, appena sotto al podio, il digitale assorbe il 12% degli impieghi messi finora a disposizione dal Feis.