Londra – “I’m a socialist, i’m a labour”, sono socialista, sono del partito laburista. Esordisce così il portavoce di Labour Leave, la costola del partito laburista a favore della Brexit. Un volto che parla più di mille parole, una cicatrice sulla guancia e un orecchino sul lobo sinistro. Se non fosse che ci siamo sentiti attraverso il loro account ufficiale penserei quasi che un tizio dei sobborghi inglesi stia tentando di ingannarmi. E invece è proprio lui, John Sweeney, rappresentante delle Trade Union, le unioni sindacali britanniche che sostengono il Leave al referendum su Brexit del 23 giugno. In Uk non si dà troppa importanza alla forma certe volte.
Nel parco di Maida Vale, West London, dove le madri della upper-middle class inglese portano i propri bambini a svagarsi, e dove ogni cosa è al suo posto, un uomo sulla fine dei quaranta mi parla di diritti dei lavoratori, di lotta operaia e di internazionalizzazione della protesta. Se il pub al centro del parco passasse un brano dei The Clash, ci sarebbe quasi da piangere per l’Amarcord che sto vivendo, per dirla alla Fellini.
Non è certo l’ultimo arrivato Sweeney, 30 anni di militanza, “nell’ala sinistra del Labour” ci tiene a precisare, “fianco a fianco agli elettori” e di Jeremy Corbyn, l’attuale leader del partito schierato a favore del Remain, nelle “lotte”.
È proprio quando il discorso tocca “Jeremy”, così chiama Corbyn, John cambia espressione, “è il leader più a sinistra che il partito abbia mai avuto, prima è sempre stato contrario a tutto ciò che avesse a che fare con l’Unione Europea. Nel 1975 fece campagna per l’uscita dal mercato unico e non ha mai dichiarato che l’Ue sia cambiata, quindi non capisco cosa sia cambiato per lui. Ho sempre pensato fosse per il Leave e credo che se non fosse il leader del Labour adesso farebbe campagna insieme a noi.”
Sembrano emergere dalle sue parole due volti differenti di “Jeremy”, uno di lotta e l’altro di governo. Ma se il leader adesso vive la fase di governo, John continua la sua attività di lotta, con i suoi viaggi a Barcellona, Atene e Parigi, a parlare di orario di lavoro, di salari, di diritti.
“Il fatto che i diritti dei lavoratori provengano dall’Ue è un mito della campagna del Remain, avevamo molti diritti già prima di entrare nel mercato unico e nell’Ue, merito dello sforzo di milioni di uomini e donne che hanno combattuto”, dice.
“L’Ue ha solo migliorato qualche diritto, portando il nostro orario di lavoro settimanale a 42 ore, ma se non riesci a far quadrare il bilancio a causa del basso salario, questo a poco serve. E poi le leggi non vengono rispettate.”
John mi guarda con occhi azzurro ghiaccio e una spilla che riporta un’effige del partito, non la rosa come nella migliore tradizione europea, ma una piuma una freccia e una torcia circondate dalla dicitura “Labour, Representation Committee”. Inizia a raccontarmi un po’ la sua storia e come questa si sia intrecciata con i cambiamenti sociali del Regno Unito negli ultimi 30 anni.
L’opposizione a Margaret Tatcher, gli scioperi, il G8 di Genova. Una storia che narra la sinistra inglese, quella europea e il loro graduale accentramento verso un modello social democratico. E se gli parli di un’altra Europa, come quella immaginata dall’ex ministro delle Finanze ellenico, Yanis Varoufakis, John la definisce socialismo da salotto.
“Molti intellettuali di sinistra non vengono dalla working class, molti dei nostri elettori non capiscono gli argomenti dell’élite intellettuale. Non si parla di salario, non si parla di lavoro, gli argomenti degli intellettuali confondono i nostri elettori.”
Il Labour Leave è nato due anni fa, “quando chiedemmo al partito un referendum sulla permanenza nell’Unione Europea”, ma la risposta fu negativa “perché il partito crede che l’euroscetticismo sia solo a destra.”
“Noi vogliamo rappresentare tutte quelle persone che sono state messe da parte e non si sentono rappresentate in questo referendum”. Nonostante il movimento conti tra gli 8 e i 10 parlamentari favorevoli, “molti deputati benché siano contrari a Brexit pubblicamente, la sostengono privatamente”, afferma.
E di nuovo si torna sul partito di governo (sebbene il Labour sia all’opposizione) e quello di lotta. “La visione del Labour parlamentare è quella di rimanere, come quella dei ministri del governo ombra, ma viene sottostimato il consenso della base, il 40% degli elettori è a favore della Brexit”.
Ma almeno su una cosa John e Jeremy, sono d’accordo, e quello è il Ttip (Transatlantic Trade and Investment Partnership), “il più grande furto di potere nella storia del commercio per fare in modo che le multinazionali dominino le nostre vite, un crimine inaccettabile perpetrato in Europa.”
E anche il Ttip diventa un altro motivo a favore della Brexit, ma si badi bene, che l’idea di Labour Leave non è isolazionista, ma piuttosto “internazionalista” per dirla come John, perché mira all’unione dei popoli europei e a costruire un movimento che l’Uk potrebbe guidare.
“In Italia, in Spagna, in Francia e in Grecia, c’è un largo disappunto riguardo l’Unione Europea, e il Regno Unito può guidare questo movimento contro il club dei milionari non eletti di Bruxelles” ,e questa è per John la vera internazionalizzazione. Perché a suo parere una Brexit non chiuderebbe le frontiere britanniche, ma renderebbe il Paese più aperto e internazionalizzato, nel senso socialista del termine, senza intaccare il libero movimento dei lavoratori.
“L’Ue è l’unica organizzazione che è stata costruita con il capitalismo nella sua costituzione” quindi impossibile da ricostruire “from the scratch” (dalla base), “perché fatta da persone con i soldi per persone con i soldi.”
Sul fatto che il fronte del Leave possa vincere John è sicuro, ma anche “in caso di sconfitta sarebbe per poco” e sarebbe comunque l’occasione “per dar vita ad un movimento europeo” che ha già la sua base e aspetta una formalizzazione.
Quando gli faccio presente che una Brexit potrebbe portare ad una maggiore forza del partito conservatore, i suoi occhi di di ghiaccio non esitano, “ci saranno nuove elezioni, il Labour vincerà, noi siamo i veri euroscettici”, come a ricordare che non è certo il partito conservatore a doversi prendere il merito nel caso di una vittoria del Leave.
Infine, quando ormai tutte le mamme con i loro passeggini sono rientrate e il sole ancora non accenna a farlo, John mi invita al quartier generale del Leave per seguire lo spoglio del voto in diretta, “ci sarà Farage, uomo di stampa”, a suo parere, quasi un’animale da Tv. “Ci sarà anche dello champagne, per festeggiare la vittoria, ma a me non piace lo champagne, magari ci facciamo una birra”.