Bruxelles – L’accordo è stato raggiunto nei tempi sperati, il progetto si trasformerà in realtà già verso la fine dell’estate, ma la nuova guardia frontiera e costiera europea che presto vedrà la luce rischia di trovarsi con le mani legate, non potendo intervenire in uno Stato membro contro la sua volontà. Parlamento europeo e Consiglio hanno raggiunto l’accordo sulla proposta avanzata a dicembre dalla Commissione europea per la creazione di una nuova e rafforzata agenzia per il controllo delle frontiere esterne. Giugno era la scadenza che si era prefissata la presidenza olandese per raggiungere un compromesso politico e oggi anche il presidente della Commissione europea, Jean-Claude Juncker, mostra soddisfazione per i tempi dell’iter: un accordo che “mostra che l’Europa è capace di agire rapidamente e in modo risoluto per affrontare le sfide comuni”, canta vittoria.
L’intesa dovrà ora ricevere il via libera degli eurodeputati che hanno previsto una tabella di marcia dai tempi serrati: il voto in commissione Libertà civili è in agenda per lunedì 27 giugno e, se la proposta sarà approvata, si tenterà di incassare il via libera definitivo dell’Aula già nel corso della prossima sessione Plenaria di Strasburgo, in programma dal 4 al 7 luglio. Considerando tutte le procedure da seguire, tra cui la pubblicazione sulla Gazzetta ufficiale e il tempo necessario prima che la decisione entri in vigore, la nuova agenzia dovrebbe essere operativa verso settembre.
Per arrivare ad un testo comune, sono stati però necessari alcuni aggiustamenti rispetto all’iniziale proposta della Commissione europea. Su un capitolo soprattutto i due co-legislatori hanno insistito e ottenuto cambiamenti, quello del cosiddetto “diritto di intervenire”. La proposta dell’esecutivo comunitario aveva immaginato per la nuova agenzia il diritto di intervenire in uno Stato membro che manifesti carenze nella gestione dei confini esterni, anche contro la volontà dello Stato stesso. Passaggio che è piaciuto poco sia al Consiglio che al Parlamento europeo che hanno ottenuto sia il Consiglio, con un voto a maggioranza qualificata, a poter decidere sull’invio della nuova forza in uno Stato membro.
Quindi se gli Stati lo decideranno, la nuova guardia frontiera potrà essere inviata anche in un Paese che non la vuole? In realtà no. Il problema, spiegano fonti vicine al dossier, è che anche dopo un voto del Consiglio favorevole all’invio, per potere dispiegare effettivamente gli uomini in uno Stato membro occorre ci sia un piano operativo, firmato tanto dalla nuova agenzia quanto dallo Stato membro in questione. Senza il via libera del Paese stesso, nessun uomo potrà essere mandato sul posto. Insomma, si torna punto e a capo, rischiando di indebolire non di poco il ruolo della nuova agenzia.
Per tentare di rimediare all’inconveniente, nell’intesa trovata tra Parlamento e Consiglio, è stata inserita anche una nuova clausola che prevede, in caso di cattiva gestione dei confini da parte di uno Stato che metta in pericolo la stessa esistenza di Schengen, la possibilità per gli altri Stati membri di chiudere temporaneamente i propri confini. Un’altra strada per tentare di convincere il Paese in questione a collaborare, se non con le buone, almeno con la minaccia dell’isolamento.
La nuova agenzia avrà, come Frontex di cui prenderà il posto, sede a Varsavia. Entro il 2020 arriverà a contare un personale fisso pari a più del doppio di quello di cui dispone attualmente l’agenzia per il controllo delle frontiere europee che monitorerà costantemente lo stato di salute dei confini degli Stati membri ed effettuerà valutazioni di vulnerabilità. A questi uomini si aggiungerà un pool composto da almeno 1.500 esperti che potranno essere dispiegati in un massimo di tre giorni. Di questi 125 dovrebbero arrivare dall’Italia.
La nuova agenzia si occuperà anche dei ritorni degli irregolari: un apposito ufficio si occuperà di dare il via libera al dispiegamento di “squadre d’intervento per i ritorni” composte da accompagnatori, addetti al monitoraggio e specialisti che lavoreranno per rimpatriare effettivamente chi soggiorna illegalmente. Nel corso dei negoziati si è però rinunciato all’idea, proposta dalla Commissione, dei ritorni “misti”, quelli cioè che avrebbero imbarcato sugli aerei che tornano verso i Paesi di origine, anche i migranti irregolari accolti dai Paesi terzi. L’idea piaceva al Consiglio ma non al Parlamento e quindi è sparita dal testo finale.