Bruxelles – Il presidente della Commissione europea Jean-Claude Juncker ha ragione quando dice che “chi è fuori è fuori” a proposito del possibile esito del referendum Brexit.
La sua può essere una forma di pressione verso gli elettori indecisi, o quelli che credono a chi gli dice che con una vittoria del Leave si potrebbe aprire un negoziato per un nuovo accordo. Ma è impossibile riaprire qualsiasi discussione e Juncker dunque non potrebbe dire altrimenti, essendo per definizione “Il guardiano dei Trattati europei”.
La politica ci ha insegnato che ogni salto mortale è possibile, mettiamo subito le mani avanti. Ma in termini di diritto se al referendum Brexit vinceranno i Leave e il premier David Cameron comunicherà questo risultato a Bruxelles (perché, in teoria, potrebbe anche non farlo, il referendum è solo consultivo, il suo è dunque esclusivamente un obbligo politico e di onorabilità nei confronti dei suoi concittadini), da quel momento la Gran Bretagna sarà un sorta di “dead man walking”, la cui fine, come partner Ue è segnata: sarà fuori.
A regolare la questione è l’oramai famoso articolo 50 del Trattato sull’Unione europea che non parla mai di “negoziato”, non c’è nulla da scambiare, ma solo di “accordo”, la fine è quella, si deve solo decidere esattamente con che priorità tecnica abbandonare gli effetti degli accordi stipulati dalla Gran Bretagna con l’Unione, tenendo conto dei rapporti che si vorranno avere in futuro (e su questo inciso insisterà chi vorrebbe un vero “negoziato). Dunque in capo a due anni, a al termine più lungo che probabilmente sarà posto, Londra sarà fuori dall’Unione, gli accordi cesseranno progressivamente di produrre efficacia, e se i britannici vorrano ad esempio un accordo economico come quello che ha la Norvegia con l’Efta dovranno, quello sì, negoziarlo dal principio.
In breve l’articolo 50 del trattato sull’Unione europea prevede un meccanismo di recesso volontario e unilaterale di un paese dall’Unione europea, e questo sarebbe il primo caso. Il paese che decide di recedere, deve notificare la sua intenzione al Consiglio europeo, il quale presenta i suoi orientamenti per la conclusione di un accordo volto a definire le modalità del recesso. Su questo il Consiglio, cioè i capi di Stato e di governo dei 27, senza la partecipazione, per questi temi, della Gran Bretagna, delibera a maggioranza qualificata, previa approvazione del Parlamento europeo. I trattati dice la norma, cessano di essere applicabili al paese interessato a decorrere dalla data di entrata in vigore dell’accordo di recesso o due anni dopo la notifica del recesso, nel caso che non si riesca ad aprire un confronto. Il Consiglio può decidere, come già ha annunciato che succederà il suo presidente Donald Tusk, di prolungare questo termine.
Articolo 50
- Ogni Stato membro può decidere, conformemente alle proprie norme costituzionali, di recedere dall’Unione.
- Lo Stato membro che decide di recedere notifica tale intenzione al Consiglio europeo. Alla luce degli orientamenti formulati dal Consiglio europeo, l’Unione negozia e conclude con tale Stato un accordo volto a definire le modalità del recesso, tenendo conto del quadro delle future relazioni con l’Unione. L’accordo è negoziato conformemente all’articolo 218, paragrafo 3 del trattato sul funzionamento dell’Unione europea. Esso è concluso a nome dell’Unione dal Consiglio, che delibera a maggioranza qualificata previa approvazione del Parlamento europeo.
- I trattati cessano di essere applicabili allo Stato interessato a decorrere dalla data di entrata in vigore dell’accordo di recesso o, in mancanza di tale accordo, due anni dopo la notifica di cui al paragrafo 2, salvo che il Consiglio europeo, d’intesa con lo Stato membro interessato, decida all’unanimità di prorogare tale termine.
- Ai fini dei paragrafi 2 e 3, il membro del Consiglio europeo e del Consiglio che rappresenta lo Stato membro che recede non partecipa né alle deliberazioni né alle decisioni del Consiglio europeo e del Consiglio che lo riguardano. Per maggioranza qualificata s’intende quella definita conformemente all’articolo 238, paragrafo 3, lettera b) del trattato sul funzionamento dell’Unione europea. (“… Si intende almeno il 72% dei membri del Consiglio rappresentanti gli Stati membri partecipanti, che totalizzino almeno il 65% della popolazione di tali Stati”.)
- Se lo Stato che ha receduto dall’Unione chiede di aderirvi nuovamente, tale richiesta è oggetto della procedura di cui all’articolo 49.