Bruxelles – In un’Unione europea che fatica a trovare un regolamento efficace in materia di trasparenza delle informazioni, c’è un settore che fa eccezione. È quello ambientale. Il segno l’ha lasciato la convenzione di Aarhus, firmata nell’omonima cittadina danese nel 1998, ed entrata in vigore nel 2001(qui il testo in italiano). Il documento si basa su una regola semplice: l’accesso alle informazioni e la partecipazione del pubblico ai processi decisionali in materia ambientale devono essere garantiti. Servono trasparenza e partecipazione. Solo così il rapporto tra pubblico e autorità lascia da parte tempi lunghi e grandi costi per accedere a banche dati e documenti.
Nessuno è escluso: “Le regole sono internazionali e nell’Ue si applicano a tutte le istituzioni, Banca centrale e Corte di giustizia comprese. Cosa che invece non avviene in altri ambiti per queste due istituzioni”, ha sottolineato il professor Jonas Ebbeson, presidente del comitato di conformità della convenzione di Aarhus, intervenuto oggi in Parlamento a Bruxelles. Niente eccezioni quindi, “perché la partecipazione pubblica migliora e tutela la salute, l’ambiente, l’equità del processo decisionale e la fiducia dei cittadini nelle autorità pubbliche. E così si contribuisce alla democrazia ambientale”, ha sottolineato Ebbeson. Per accedere alle informazioni, secondo quanto previsto dalla convenzione, non si devono dare spiegazioni sul motivo della propria richiesta. E non possono esserci discriminazioni territoriali. “I confini, in questo caso, smettono di esistere – spiega il professore – perché quando si chiedono informazioni ambientali la divisione tra Stati non conta più”.
Le parti interessate sono obbligate a mettere a disposizione le informazioni richieste “entro un tempo ragionevole”, cioè entro massimo un mese. In casi eccezionali, se ne possono impiegare anche due. L’accesso ai database viene negato solo nei casi specifici previsti dalla convenzione come, per esempio, quando ci si trova di fronte a una richiesta troppo generica. “Aarhus mette al centro i cittadini” e basa il suo sistema sull’equità di informazione. Per questo ancora oggi, anche se è stato pensato quasi vent’anni fa, rappresenta un modello che l’Unione europea potrebbe prendere come esempio per rinnovare il sistema – molto discusso – dell’accesso ai dati delle sue istituzioni da parte dei cittadini.