Bruxelles – Il referendum sulla Brexit non è solo una sventura. Questa l’opinione di Enrico Letta, direttore della scuola di affari internazionali di Sciences-Po, che spera in una permanenza del Regno Unito nell’Ue, ma precisa: “Secondo me alla fine questo referendum fa bene. Se il risultato sarà positivo (per rimanere) si rivelerà una situazione molto utile”. Durante la conferenza ‘Brexit: rischi e prospettive’, l’ex-presidente del Consiglio italiano ha affermato che questo voto sarà l’occasione per riflettere su una “Europa dei cittadini che non è stata fatta”.
Già dal giorno dopo il referendum servirà un rilancio dell’Ue, perché l’attuale Unione europea non funziona. Nel contesto storico degli ultimi anni l’Ue ha passato e sta passando due delle più grandi crisi mai avvenute prima: la crisi economica, per la quale l’Unione ed i suoi Paesi hanno impiegato ben 4 anni solo per decidere da dove dovevano essere prese le decisioni, e quella dei migranti, per cui, secondo Letta, non ci si può permettere altri 4 anni di discussioni. “Una Unione europea così non è la risposta, ma l’unica risposta possibile non può che essere europea. Il nazionalismo non è una risposta”.
Se il fronte Brexit uscirà sconfitto, Letta invita i leader dell’Ue a non tirare un sospiro di sollievo perché continuare sulla strada finora percorsa significherebbe “buttare via la grande occasione di fare chiarezza”, cioè: “Grande chiarezza vuol dire che il Regno Unito rimane su una linea di chi vuole partecipare ad alcune politiche ma non a tutto” e di conseguenza “bisognerà chiarire che il futuro dell’Ue passerà attraverso i Paesi dell’euro”. Se invece trionferà la Brexit, “l’Unione non sopravvivrà senza la Gran Bretagna” e bisognerà aspettarsi “un violento impatto sulla instabilità e sull’incertezza, soprattutto legale e giuridica”. Letta precisa che l’articolo 50 del trattato sull’Unione europea, che disciplina l’uscita di un Paese dall’Ue, non chiarisce completamente la questione, ma sicuramente non parla di negoziato: “I britannici sostengono che si aprirà un negoziato, ma non c’è alcun negoziato, quando si esce si esce”. Questo scenario non può che essere accompagnato dall’immagine di una Unione europea che si disgrega, portando con se devastanti effetti sugli investimenti. Letta evidenzia che da un punto di vista economico le turbolenza legate al divorzio tra Uk e Ue metterebbero a rischio i Paesi con un alto debito pubblico, tra cui figura l’Italia con il secondo debito pubblico d’Europa.
Secondo Sylvie Goulard, eurodeputata liberale francese del gruppo Alde, fin dall’inizio della questione Brexit gli Stati dell’Ue hanno tenuto un comportamento troppo accondiscendente nei confronti del Regno Unito e l’accordo stipulato a febbraio “è vuoto”: “Nel trattato esiste un articolo che prevede la possibilità che un Paese lasci l’Ue, ma non dice che questo può ottenere uno status speciale minacciando di andarsene” . La deputata ribadisce che “finora abbiamo fatto finta di fare l’Unione europea” e per il futuro si auspica che siano messe “le competenza prima e il passaporto dopo. Bisogna mettere da parte la nazionalità”.
Durante la conferenza l’ex presidente del Consiglio ha riflettuto sul fatto che tutto il mondo della Brexit sta ruotando intorno alle emozioni: “Ho l’impressione che se vincerà il Remain dovremmo riflettere sulla possibilità di fare di Joanne Cox un eroe. E’ evidente che quel barbaro assassinio ha avuto un impatto tale da contrastare le forti emozioni dalla parte del Brexit. Emozioni che sembrano superiori alla razionalità che spinge al Remain”. Secondo Letta il problema della campagna a favore della permanenza del Regno Unito nell’Unione ha mancato di suscitare quelle emozioni che soprattutto in un referendum giocano un ruolo fondamentale. “Nei referendum è un confronto tra emozioni: si divide il campo in due e si lasciano da parte tutte le mezze misure”. Su questo hanno puntato i politici inglesi della campagna per la Brexit, puntando su termini come “back” e “great”, seguendo un ragionamento che associa la decadenza della Gran Bretagna alla sua associazione con l’Ue. Ma per Letta il ragionamento sbaglia proprio prospettiva: la nuova posizione dei grandi del ‘900 è legata all’ascesa di nuove potenze mondiali, come Cina e India, ed un eventuale ritorno verso la dimensione nazionale non farebbe che diminuire ulteriormente il peso del Paese a livello internazionale. Il passaggio sarebbe “da Great Britain a little England”. Ma secondo Letta sulle stesse emozioni deve puntare il rilancio di un progetto europeo: “Secondo me bisogna partire dalle grandi paure e speranze delle persone. E quindi gestire i due problemi dei rifugiati e della crisi economica e finanziaria”. Ed ha aggiunto: “ Spero che venerdì mattina ci sveglieremo con una Union europea rinvigorita dall’iniezione positiva del referendum britannico”.