Roma – Se l’avversario è il centrodestra si vince, ma contro il Movimento 5 stelle si prende “una batosta”: è questo il risultato del ballottaggio per il Pd del segretario-premier Matteo Renzi. È lui stesso, secondo le ricostruzioni del Corriere della sera, a usare la parola “batosta” per descrivere le sconfitta contro il movimento di Beppe Grillo, non solo ad opera delle pentastellate Virginia Raggi a Roma e Chiara Appendino a Tornio, ma anche in tutte le altre realtà che hanno visto imporsi il M5s in 19 dei 20 comuni in cui era presente al secondo turno delle amministrative.
Nelle grandi città, Renzi raccoglie il successo a Milano con Giuseppe Sala, candidato che ha scelto personalmente e che si impone su Stefano Parisi sostenuto dal centrodestra unito, e a Bologna dove Virginio Merola si riconferma sindaco contro la leghista Lucia Borgonzoni, anche lei supportata dal centrodestra compatto. Segno che nello schema del bipolarismo classico il Pd renziano non ha problemi.
Difficoltà che invece emergono non tanto a Roma – dove era annunciata l’affermazione di Raggi e i dem pagano l’inchiesta su ‘Mafia Capitale’ e la vicenda delle dimissioni dell’ex sindaco Ignazio Marino – quanto a Torino, dove la vittoria di Appendino contro Piero Fassino, fa pensare al premier di non essere stato abbastanza “rottamatore”. Convinzione supportata a suo avviso dall’evidenza che altrove, quando il Pd si è affidato a candidati giovani e non a esponenti di vecchio corso, è riuscito a portare a casa la vittoria.
Roma e Torino sono sconfitte che bruciano, così come brucia che a Napoli il sindaco Luigi De Magistris sia stato confermato quasi doppiando l’esponente del centrodestra, Gianni Lettieri, dopo che la candidata dem Valeria Valente era stata bocciata al primo turno. Ma in ottica referendum costituzionale – che Renzi considera la vera partita per il prosieguo della propria carriera politica – il premier sembra convinto di avere margini perché il fronte del Sì faccia breccia anche nell’elettorato che a queste amministrative ha bocciato i candidati del Pd.
Qualche dubbio, però, comincia a insinuarsi. Il primo riguarda la macchina del partito: non tutte le ruote hanno girato nella stessa direzione e dunque il segretario si prepara a un rinnovamento dell’apparato a livello locale. Vuole uomini di fiducia, che oltre a rappresentare un cambiamento rispetto ai vecchi volti, garantiscano un impegno senza riserve nella campagna referendaria. Da questo punto di vista sfrutterà la bocciatura di Fassino per affermare proprio la necessità di rilanciare la ‘rottamazione’ interna.
Un secondo dubbio riguarda la legge elettorale. La riforma fortemente voluta dallo stesso Renzi prevede un secondo turno di ballottaggio, e l’affermazione del M5s in 19 ballottaggi su 20 non è certo un buon segnale in vista delle elezioni politiche. Il rischio che l’Italicum finisca col premiare proprio i cinquestelle è presente, e in molti, anche nella componente renziana del Pd, invitano a non sottovalutarlo. Il premier potrebbe dunque convincersi a riaprire quel dossier, anche perché sarebbe un’occasione per fare qualche concessione alla minoranza dem e ricompattare il partito per la battaglia referendaria.
Battaglia sulla quale peserà anche la dialettica che nei prossimi mesi Renzi avrà con l’Unione europea. e non è un caso che per la data del voto l’inquilino di Palazzo Chigi punti al 2 ottobre, ovvero prima della presentazione della bozza di bilancio attesa per il 15 dello stesso mese. In quel documento il governo dovrà infatti recepire le raccomandazioni della Commissione europea, impegnandosi a riprendere il precorso di riduzione del debito e a realizzare dei tagli alla spesa pubblica per evitare aumenti di Iva e accise.
Sul fronte M5s, questo secondo turno delle amministrative sancisce il ruolo di vero antagonista del Pd. Per Beppe grillo è “solo l’inizio” di un percorso che porta a Palazzo Chigi. In realtà il movimento ha mostrato difficoltà in diversi territori, Milano e Napoli su tutte, e dunque ha ancora del lavoro da fare per radicarsi in tutto il Paese. Ma aver conquistato Torino, e soprattutto Roma, sarà una vetrina molto importante. Una buona amministrazione delle città potrebbe portare consensi anche a livello nazionale e dunque avere un peso sulle elezioni politiche.
Chi esce a pezzi dalle urne è il centrodestra. Per la parte moderata dell’alleanza, il buon risultato di Parisi a Milano, sconfitto ma con un margine contenuto, mostra che solo l’unità paga. Il leader del Carroccio, Matteo Salvini, boccia invece l’esperienza. Sembra sempre più convinto della necessità di abbandonare la linea moderata degli alleati di Forza Italia, e intende continuare a puntare sui toni duri e anti europeisti che caratterizzano la Lega Nord. Rimane da vedere se questo centrodestra sarà in grado di formare una ‘santa alleanza’ con il resto delle opposizioni per bocciare la riforma costituzionale e costringere Renzi alle dimissioni a ottobre. È una partita che tutti hanno già iniziato a giocare, ma per la quale ognuno farà i propri aggiustamenti strategici e tattici nelle prossime settimane.