di Thomas Fazi
Come è noto, la stabilità dei prezzi è una della architravi dell’Unione monetaria europea, nonché «l’obiettivo principale» previsto dallo statuto della BCE. A chi non ha familiarità col tema, consiglio la visione di questo simpatico cartone animato per le scuole o la lettura dell’opuscolo informativo “La stabilità dei prezzi: perché è importante per te”, altrettanto gustoso. A tutti gli altri sarà sufficiente ricordare che per stabilità dei prezzi si intende, secondo la definizione della stessa BCE, un tasso di inflazione «inferiore (ma tuttavia prossimo) al 2%». Ne consegue – sempre secondo la definizione della BCE – che «sono inconsistenti con l’obiettivo della stabilità dei prezzi» sia un tasso d’inflazione superiore al 2%, sia un tasso nettamente inferiore al 2%. Nonché, ça va sans dire, un tasso negativo (deflazione).
Da ciò risulta evidente che la BCE è in flagrante violazione dei propri obiettivi statuari. E non da ieri, ma da diversi anni. Come si può vedere nella seguente immagine, tratta dal blog di Bill Mitchell, il tasso d’inflazione medio dell’eurozona è stato inferiore all’obiettivo del 2% per buona parte degli ultimi sette anni, e la zona euro è costantemente sull’orlo della deflazione dalla fine del 2014 (ed ufficialmente in deflazione da diversi mesi).
Risulta evidente, insomma, che il programma di quantitative easing della BCE – col quale la banca centrale si è impegnata ad acquistare sui mercati europei titoli, in buona parte pubblici, per 60 (ora 80) miliardi di euro al mese – si è rivelato un colossale fallimento. Certo, c’è da dire che la colpa non è tutta della BCE – in assenza di politiche fiscali espansive, la politica monetaria, convenzionale o non convenzionale che sia, serve a poco – ma i continui richiami di Draghi alla necessità di rispettare i vincoli di Maastricht e di ridurre il costo del lavoro non aiutano di certo. Quel che è peggio è che la situazione non accenna a migliorare: il dato che misura le aspettative di inflazione fra cinque anni è oggi all’1,37%, il livello più basso da quando esiste l’euro. In altre parole, i mercati si aspettano – a ragione, aggiungerei – un ulteriore peggioramento della spirale deflazionistica nell’area euro.
La BCE, però, sembra aver finalmente trovato una soluzione al problema. Risollevare l’inflazione? No, convincerci che la deflazione, in fondo, è una cosa buona. Come? Cambiando il significato di “stabilità dei prezzi” per farlo coincidere con la deflazione. Et voilà, ecco che quello che fino a ieri era un grattacapo non da poco per la BCE e gli altri guardiani dell’ortodossia di Maastricht – è proprio il persistere della spirale deflazionistica che sta allargando sempre di più il coro di voci di chi, anche in ambito mainstream, chiede un drastico cambio di rotta (si veda per esempio tutto il dibattito sull’helicopter money) – scompare come per magia. La storia, che ha dell’incredibile, è la seguente.
Il Trattato sul funzionamento dell’Unione europea prevede che almeno una volta ogni due anni la BCE e la Commissione europea redigano un Rapporto sulla convergenza «sui progressi compiuti dagli Stati membri con deroga nell’adempimento degli obblighi relativi alla realizzazione dell’Unione economica e monetaria». In breve, vi sono quattro “criteri di convergenza” in base ai quali vengono giudicati gli Stati membri, di cui il primo – e il più importante – è quello della stabilità dei prezzi. In sostanza, il tasso d’inflazione di un paese viene giudicato “sostenibile” se «non supera di oltre 1,5 punti percentuali quello dei tre Stati membri, al massimo, che hanno conseguito i migliori risultati in termini di stabilità dei prezzi».
E qui arriva il bello. Nell’ultimo Rapporto sulla convergenza, pubblicato la settimana scorsa, i tre paesi “premiati” dalla BCE e dalla Commissione per aver «conseguito i migliori risultati in termini di stabilità dei prezzi» – e ricordiamo ancora una volta che, in base allo statuto della BCE, per stabilità dei prezzi si intende un tasso d’inflazione vicino al 2% – sono tre paesi… in deflazione! Ossia: Bulgaria, Slovenia e Spagna, che nel periodo di riferimento (maggio 2015-aprile 2016) hanno conseguito rispettivamente un tasso di inflazione – o meglio di deflazione – rispettivamente di -1%, -0,8% e -0,6%.
La conclusione della BCE e della Commissione è che tutti gli Stati membri, ad accezione della Svezia, hanno conseguito il criterio della stabilità dei prezzi. La colpa della Svezia? Di aver registrato un pericoloso tasso di inflazione dello 0,9%, che insieme al tasso conseguito dal Belgio e da Malta è quello che più si avvicina all’obiettivo inflazionistico della BCE (2%).
In un continente normale, sarebbero questi i paesi a cui verrebbe riconosciuto il merito di aver conseguito i migliori risultati in termini di stabilità dei prezzi. Ma questo avrebbe reso evidente quanto tutti gli altri Stati membri si discostino dall’obiettivo inflazionistico della zona euro. E poi l’Europa, si sa, non è un continente normale: è un continente governato sempre più da tecnici che, a quanto pare, o non capiscono le loro stesse regole o, peggio ancora, quando la realtà si rifiuta di adattarsi a quelle regole, invece di cambiare le regole, si limitano a “cambiare” la realtà. Per un approfondimento tecnico dell’“errore” consiglio la lettura di questo articolo (in inglese).