di Monica Di Sisto*
«Grazie del caldo benvenuto!». Questa la reazione del ministro dello sviluppo economico italiano Carlo Calenda alle proteste con fischi e cartelli che, da destra a sinistra, si sono sollevate mercoledì scorso tra i banchi della Camera dei deputati. Calenda era lì per chiarire perché avesse deciso, in assoluta autonomia, di scrivere alla Commissione europea chiedendo di tagliare fuori il Parlamento italiano, e tutti gli altri parlamenti europei, dal processo di ratifica del trattato di liberalizzazione commerciale Europa-Canada (Comprehensive and Economic Trade Agreement o CETA).
Cecilia Malmström, la commissario al commercio europea, ha ringraziato l’Italia per l’iniziativa che sembra, però, non così spontanea. A Bruxelles molti rumours indicano che il governo italiano sia stato spinto a sostenere la posizione della Commissione avendo ricevuto una pessima valutazione semestrale sull’andamento del deficit nazionale. In sintesi la Commissione ci dice nel documento che il nostro deficit è troppo alto, il debito è troppo alto, l’Italia non sta avanzando nelle privatizzazioni e nelle riforme neoliberiste che aveva accettato di implementare, il settore bancario è fortemente indebitato e questo significa, alla luce del patto fiscale che tiene insieme l’Unione, che la Commissione europea deve procedere nei nostri confronti e minacciarci sanzioni. Stranamente, proprio a ridosso della pubblicazione del rapporto, l’Italia si è schierata inopinatamente al fianco della contestata Malmström.
A difendere le prerogative del Parlamento italiano si è levata per prima la presidente della Camera Laura Boldrini, ricordando che i parlamenti europei chiedono fin dal lancio del CETA e del TTIP, l’analogo trattato che l’Europa sta negoziando con gli USA, di avere spazio nella discussione e nella ratifica di accordi così ampi da regolare non solo il commercio, ma anche standard di produzione e distribuzione. Boldrini ha dato seguito a un’azione di mail bombing promossa nelle ore precedenti dalla Campagna Stop TTIP Italia nei confronti dei presidenti di Camera e Senato e dei capigruppo in Parlamento, nella quale migliaia di italiani hanno sottolineato loro che «se si considerano le già parziali prerogative del Parlamento europeo e dei parlamenti nazionali rispetto al potere della Commissione europea sui negoziati commerciali, limitate alle ratifiche e alle risoluzioni ma senza nessun potere di emendamento, la posizione del ministro Calenda riduce ulteriormente gli spazi di controllo democratico della politica commerciale dell’Unione».
Sigmar Gabriel, vicecancelliere e ministro tedesco dell’economia, si è opposto frontalmente all’uscita italiana: «Senza l’approvazione del nostro parlamento, niente via libera della Germania al CETA», ha chiarito. Anche il cancelliere austriaco si è schierato: «l’Europa vuole bypassare i parlamenti nazionali? L’Austria dice no». Al loro fianco Matthias Fekl, segretario al commercio francese: «Il CETA è un accordo di tipo misto, perciò i parlamenti devono avere l’ultima parola: è un imperativo democratico».
Dal 28 giugno i governi europei si incontreranno per il Consiglio, dove dovranno pronunciarsi sul fatto che l’accordo debba o non debba passare dagli Stati membri. Questo dipende dal fatto che il CETA sia o meno considerato un accordo “misto”, cioè un accordo che si occupi anche di regole, non solo di dazi e di tariffe, la cui competenza non sia affidata dal Trattato di Lisbona, come il commercio estero, esclusivamente alla Commissione, ma sia concorrente con la giurisdizioni nazionali. Se l’accordo non fosse considerato “misto”, potrebbe essere approvato come tale dalla maggioranza del Consiglio europeo che raggiungesse il 55% dei voti e il 65% della popolazione.
Per questo in tutta Europa le campagne e le associazioni contrarie all’approvazione dell’accordo promuoveranno nei giorni del Consiglio un “CETA Tuesday” in tutta Europa con tempeste di Twitter, email, telefonate e altri mezzi di pressione per spingere i propri governi a opporsi a questa furbesca scorciatoia. In Italia la Campagna Stop TTIP lancerà sul suo sito come al solito tutte le modalità per unirsi alla contestazione online e alle iniziative pubbliche che verranno organizzate nei giorni del Consiglio.
«Ministro, lei da bambino nella fiction Cuore faceva Enrico, il bambino buono – ha ironizzato il deputato Giulio Marcon, intervenuto in aula per Sinistra Italiana nel corso dell’audizione in Parlamento del ministro Calenda – non faccia il Franti con il suo Parlamento», ha concluso alludendo all’archetipo del bambino cattivo rappresentato nel romanzo. «Ministro, ci piaceva di più da attore», ha rincarato il deputato della Lega Stefano Allasia. Anche nel PD sembra cresca il malcontento, e non solo nella minoranza, per una posizione così netta e non concordata. Quanto questo porterà il governo italiano a più miti consigli, o a un netto isolamento in Consiglio europeo, si chiarirà nei prossimi dieci giorni che ci separano dal Consiglio europeo.
*vicepresidente dell’associazione Fairwatch, tra i portavoce della Campagna Stop TTIP Italia.