Bruxelles – Il suo cruccio sembra essere uno solo: come servire meglio il pubblico, con una media company. Anche per questo il direttore generale della Rai Antonio Campo Dall’Orto è venuto per due giorni, “molto intensi”, qui a Bruxelles, per capire cosa succede a livello europeo in un settore che oramai da tempo non può più confrontarsi solo con i confini nazionali, sul piano tecnologico, produttivo e culturale. Questo vuol dire, e il tema era obbligato, ad esempio dare agli abbonati la possibilità di guardarsi la partita di calcio di oggi tra Italia e Svezia anche se si trovano all’estero.
LA MEDIA COMPANY
Eunews: Cosa si aspetta dall’Unione europea?
Campo Dall’Orto: Che sostenga il meccanismo di trasformazione in Media Company, che cioè ci permetta di fare bene il nostro mestiere. Noi stiamo lavorando ad accelerare questo passaggio, che dovrà consentire di offrire i nostri contenuti agli abbonati in ogni luogo essi si trovino. E’ un processo che in Europa sta partendo in questi mesi e noi, tecnicamente, da settembre saremo pronti ad offrire il servizio ai nostri abbonati, perché siamo convinti che un abbonato, identificato, abbia il diritto ad avere il servizio ovunque si trovi. Con la nuova app della Rai questo sarà possibile, ad esempio per un evento sportivo come la partita degli Europei tra Italia e Svezia. Noi siamo pronti, lo abbiamo spiegato, ed ora dobbiamo aspettare la parte normativa, dipende dalle istituzioni.
Andare verso la Media Company vuol dire ripensare a tutta la struttura industriale dell’azienda Rai, anche nelle sue relazioni con le altre aziende per lo meno europee…
E’ inevitabile andare verso un sistema nel quale il valore si sposta sulla generazione del contenuto e sulla distribuzione del contenuto premium. Per questo auspico una maggiore quantità di coproduzioni tra aziende simili. Le serie ad esempio statunitensi che arrivano dai servizi a pagamento non si sposano bene con i servizi pubblici e dunque con queste produzioni è difficile collaborare, ma c’è invece spazio per i servizi pubblici, che pur nelle loro diversità, hanno contesti analoghi per pubblico e tipo di racconto che si fa. Ad esempio sulla produzione “I Medici” c’è l’interessamento di molti potenziali partner pubblici europei. Dunque su alcuni temi mirati nei prossimi anni ci saranno più coproduzioni, per tutte le nostre reti.
Questo per la produzione, ma per la distribuzione il passaggio a nuovi media potrebbe essere più complesso.
Dico subito che l’Italia è pronta a questo passaggio, anche se tuttora troppi italiani non accedono a internet. Quelli che lo fanno abitualmente, e sono comunque 30 milioni, lo fanno con facilità. La cosa fondamentale è essere parte di un racconto internazionale, come è stato per il film di Sorrentino premiato agli Oscar, o con Fuocoammare. La nostra idea, e pratica, di produzione è sempre più aperta a parlare con l’estero.
Lei ci parla di film, ma sul fronte fiction saranno necessari anche cambiamenti che avvicinino l’Italia a modelli di trasmissioni più diffusi all’estero…
Certamente, ad esempio all’estero non esiste il prodotto fiction da 100 minuti, e per questo stiamo lavorando il più possibile a quello da 50, altrimenti non trovi il coproduttore all’estero. Non ho dubbi che riusciremo in questo progetto, abbiamo avuto una grande storia negli anni passati e in questa fase di rinascita in Italia godiamo ancora di molto credito come produttori di contenuti, non c’è dubbio che siamo rientrati nella partita. Produrremo fiction con storie sempre più articolate, questa è la tendenza che si va affermando, con temi che fanno riflettere. Il pubblico c’è, altro ne arriverà. C’è un grande potenziale.
I PALINSESTI
A giorni, il 28 giugno, è attesa la presentazione dei nuovi palinsesti Rai. Cosa dobbiamo aspettarci?
Vorrei che da questi palinsesti emergessero due messaggi: una Rai plurale, non come concetto politico, badi bene, ma un’azienda capace di raccontare il Paese in tutti i modi possibili, un viaggio verso la contemporaneità vorrei dire, per arrivare a un sevizio migliore. Il tutto, e ci tengo a ricordarlo qui a Bruxelles, con il canone più basso di tutta Europa. La novità sarà il modo in cui si fanno le cose, su quel che c’è dentro ai programmi, agendo dentro i singoli prodotti, con scelte come quella di togliere la cronaca nera dai contenitori domenicali, non è il posto adatto.
Sui contenuto posso solo dire che ci sarà qualche sorpresa per quanto riguarda i protagonisti delle nostre trasmissioni, e anche volti nuovi.
Conterete ancora sui format o ci saranno creazioni originali?
I format sono parte del prodotto attuale di ogni televisione, ma noi cerchiamo di produrre sempre più modelli originali, inventati dai nostri autori. Quest’anno in questo ambito hanno avuto un ottimo risultato due produzioni nate dai nostri autori, come Laura e Paola, la trasmissione di Pausini e Cortellesi, o Rischiatutto, che, confermo oggi, tornerà a novembre. Questa è una produzione identitaria, fatta da noi, della quale siamo molto orgogliosi.
LA RAI E LA POLITICA
Rai e politica sono un binomio al quale siamo abituati da sempre. La sua Rai che rapporto ha?
Il legame con la politica è inevitabile, basta guardare al sistema di nomina dei vertici aziendali. Il problema è come questo legame si sviluppa. Io credo debba avvenire nei luoghi deputati a questo, come la Commissione parlamentare di vigilanza, le istituzioni. Noi stiamo diventando sempre di più un soggetto autonomo e il rapporto sarà sempre più fluido più la Rai diventa autonoma. Io stesso oramai conosco la Rai, ma non conosco i meccanismi di Roma, non ho seguito le liturgie. Credo di poter dire che siamo in una momento di transizione epocale, anche da questo punto di vista.
L’INFORMAZIONE
L’informazione è un altro tema delicato. La gestione aziendale precedente stava pensando ad una grande ristrutturazione, che avrebbe portato a due sole testate giornalistiche. State seguendo questa linea?
Con Verdelli (Carlo, il direttore editoriale, ndr) stiamo ragionando su come servire meglio il pubblico, ora abbiamo una visione editoriale, quella organizzativa seguirà. L’idea delle due sole testate o buona dal punto di vista dell’efficienza, ma non da quello del servizio ai cittadini. Il tema è complesso, il primo obiettivo è informare bene il Paese, usando al meglio le nostre risorse. Ad esempio sul digitale siamo in grande ritardo, quando oramai un terzo del Paese usa mezzi digitali per informarsi. I fruitori di domani, i giovani, devi agganciarli oggi. Se il servizio pubblico deve essere universale serve un nuovo piano non solo sulle testate televisive, ma anche sul digitale, che si svilupperà in due fasi: più servizi e diventare il centro del sistema. Partiamo dal contenuto per arrivare alla forma, il digitare è un sistema per raggiungere le persone, ma prima devi fare i contenuti.
Una domanda che non posso non farle: sono alle viste nuove nomine nel settore dell’informazione?
No.
Bruxelles e il racconto dell’Europa. Ci sarebbe molto spazio ancora da occupare, la Rai sembra ancora timida…
Il tema è come trattare i grandi temi. In palinsesto abbiamo molti programmi, ma è vero, si può certamente fare di più, anche se vedo che molti Paesi, forse tranne la Germania, tendono ad essere autoreferenziali e a parlare poco di Europa. Però senza dubbio dobbiamo riuscire a dire alle persone da dove arrivano, e come, le cose che determinano il loro futuro. Comunque, anche su questo ci stiamo lavorando, considerando che l’informazione oggi passa attraverso le emozioni che ci sono dietro. Proprio questa mattina, intanto, ho personalmente invitato il commissario europeo alle Migrazioni Dimitris Avramopuolos a partecipare al Prix Italia, che quest’anno si svolgerà a Lampedusa, ha promesso che farà di tutto per esserci.
Vogliamo raccontare di più il Paese, anche nella sua dimensione internazionale.