dal nostro inviato
Londra – A 7 giorni dal voto del 23 giugno sulla Brexit, il referendum che deciderà l’uscita o meno del Regno Unito dall’Unione Europea, i sondaggi danno 6 punti di vantaggio al Leave, un vantaggio che se corrispondesse alle reali intenzioni di voto sarebbe difficile da recuperare in una settimana. Sentendo la vittoria in tasca i Leavers hanno già preparato un breve programma di governo, che vorrebbero mettere in atto entro il 2020.
Una vittoria della Brexit sarebbe una sconfitta fortissima per David Cameron e secondo quanto riportato da diversi media britannici, Boris Johnson, ex primo cittadino londinese, e compagni, starebbero già preparando un esecutivo in vista di una probabile sfiducia dell’attuale premier.
I primi due punti del programma, i più caldi, riguardano la sicurezza e il libero movimento. Si parla di rispedire a casa i criminali di altri Paesi europei e bloccare l’entrata automatica dei cittadini comunitari nel Regno Unito, punto forte delle campagna per il Leave, che accusa gli europei di “rubare” il lavoro ai britannici.
Chris Grayling, leader della House of Commons (Camera dei Comuni), ha dichiarato che un voto per l’uscita non solo restituirà il controllo ai cittadini Uk, ma “metterà fine alla situazione per cui una corte internazionale potrà decidere su chi possiamo espellere e chi no”. Il riferimento è al fatto che il Paese non dovrebbe più rispondere alla Corte Europea di Giustizia, che molti britannici vedono come ente esterno che prende decisioni in materia giudiziaria in maniera non legittima.
Entro il 2020, poi, il Regno Unito verrebbe “liberato” da tutta la legislazione Ue e dagli accordi commerciali fatti con Bruxelles, arrivando di fatto all’isolazionismo. La fattibilità di questo punto è alquanto dubbia, in quanto secondo Donald Tusk, Presidente del Consiglio Europeo, per rinegoziare gli accordi tra le due parti ci vorrebbero almeno 7 anni.
Sotto il profilo economico, Vote Leave, propone un abbassamento del 5% dell’imposta sull’energia e il carburante e un aumento della spesa nel sistema sanitario (Nhs) di 100 milioni di sterline a settimana. Nelle dichiarazioni non c’è nessun riferimento al probabile shock economico che la Gran Bretagna dovrebbe subire nel caso di uscita dall’Unione Europea.
La roadmap post referendum riprende in pieno i leitmotiv della campagna per il Leave, schierata contro l’immigrazione dei cittadini comunitari, contro la Corte Europea di Giustizia e contro Bruxelles, che “sottrae” fondi alla sanità pubblica. È molto strano però che politici che si sono resi protagonisti di tagli al welfare, ora facciano campagna per aumentare la spesa pubblica.
Il programma è di fatto una risposta al budget di emergenza post-Brexit proposto da George Osborne, cancelliere dello scacchiere britannico (il nostro ministro delle finanze), che prevede un aumento delle tasse di 30 milioni di sterline e tagli alla spesa pubblica.