Bruxelles – Gli Oceani come fonte di energia. È questo lo scenario del futuro europeo, sempre che turbine e impianti sulla terraferma o in mare aperto riescano ad attrarre gli investitori, ancora titubanti e poco informati sulle potenzialità dell’energia ricavata dai mari. L’obiettivo per chi opera nel settore è ambizioso: produrre il 10% dell’approvvigionamento energetico all’interno del mix di energie sostenibili previsto per il 2050. E proprio progetti e difficoltà in questo ambito sono stati al centro del dibattito organizzato dalla Ocean Energy Europe nell’ultimo giorno di appuntamenti della Sustainable Energy Week.
Sono due le realtà di successo che possono essere d’esempio per “i prossimi dieci o quindici anni”. La prima è quella presentata da Charles Bodel, capo del gruppo energetico EDF-R&D. Il progetto si basa su un sistema di cavi lungo 16 chilometri installato al largo delle coste francesi nel 2012. Sfruttando l’energia delle turbine subacquee, il sistema porta l’accumulo energetico dal mare aperto a una struttura sulla terraferma che converte il tutto in energia elettrica. Grazie all’utilizzo della fibra ottica, tutto il processo è documentato e i dati vengono costantemente registrati. “Prima ci sono stati i test, poi è arrivata la parte della commercializzazione che è stata anche la più difficile”, racconta Bodel. Il budget complessivo è di 40 milioni di euro e il dialogo con gli stakeholder “è stato serrato fino all’ultimo”
L’altro modello è quello presentato da Kieran O’Brien, direttore esecutivo di Carnegie Wave Energy Ltd (per lo sviluppo del business europeo). Il sistema è stato testato in Australia, con l’iniziativa Perth wave energy project e un budget complessivo di 32 milioni di dollari. Il principio è sempre lo stesso: sott’acqua, lungo la costa, viene istallato l’impianto offshore che è poi collegato a quello sulla terraferma che si occupa della conversione energetica. Il tutto con un monitoraggio costante dell’ambiente marino interessato, per la salvaguardia delle specie animali e della flora che ne costituiscono l’ecosistema.
Non solo Australia, ma anche Europa. La Carnegie ha scelto la Cornovaglia, nel Regno Unito, come sede del suo nuovo hub. E proprio in Gran Bretagna, per il 2018, è prevista la costruzione di un sistema offshore sul modello di quello australiano. “Ci troviamo di fronte a una grande crescita dei risultati. Nel 2011 la produzione era intorno ai 4 GigaWatt, nel 2015 invece è salita a 11, pensate a cosa potremo fare fra dieci o quindici anni”, ha spiegato O’Biren.
Per dare una spinta al settore, serve convergenza a livello europeo tra le aziende che si occupano di energia e di nuove soluzioni. E le partnership potrebbero essere molte, dato che il numero di interessati è alto, soprattutto nel Regno Unito e in Germania. “È un buon punto di partenza, ma dobbiamo fare più sforzi”, ha commentato Piotr Tulei capo unità per le fonti energetiche rinnovabili (DG RTD) della Commissione Europea. “Sono concetti nuovi e per questo implicano grandi rischi negli investimenti. Ma le tecnologie ci sono, ora bisogna farle funzionare”.