Roma – Che l’Italia soffra di un gap rispetto agli altri Paesi europei nello stare al passo con la rivoluzione digitale lo fotografa in modo impietoso l’indice Desi 2016, che colloca il nostro Paese al 25° posto su 28 nell’Ue. Tuttavia, il governo ha piena fiducia che si possa “colmare il gap digitale“ con il resto d’Europa, perché “negli ultimi 3 anni l’Italia è tra i Paesi che hanno innovato di più”, ha rivendicato il sottosegretario agli Affari europei, Sandro Gozi, intervenendo a un incontro organizzato a Roma da InnovaFiducia.
L’esponente dell’esecutivo ha confermato che il tema del “cambiamento digitale” – a lui non piace chiamarla rivoluzione, ha spiegato, “perché una rivoluzione si fa contro qualcosa mentre qui parliamo di qualcosa che va a beneficio di tutti” – è una priorità del governo, ma per gestire questo cambiamento “serve l’Europa come minimo”, ha indicato, ed è per questo che “spingiamo per un’accelerazione dell’Ue nella realizzazione del Mercato unico digitale”.
La tesi di Gozi, secondo cui l’Italia è indietro ma sta correndo per recuperare, è confermata da Emanuele Baldacci, Cio di Eurostat. Illustrando le statistiche europee sul digitale, Baldacci ha sottolineato che “l’Italia parte da una posizione bassa ma si sta muovendo in maniera molto veloce” per raggiungere gli altri partner Ue. I settori in cui il divario è più alto riguardano le competenze digitali, le infrastrutture per l’accesso, e l’utilizzo pieno di internet, segnala lo statistico.
Felicia Pelagalli, presidente di InnovaFiducia, ritiene necessari degli “adeguamenti culturali” per recepire i cambiamenti in corso, e sostiene che tale lavoro vada fatto “nelle organizzazioni in cui le persone vivono, lavorano e si confrontano”. Dunque, anche le aziende devono compiere questo sforzo culturale.
Due esempi di cosa ciò comporti li hanno forniti Ernesto Ciorra, direttore Innovazione e Sostenibilità di Enel, e Roberto Ferrari, direttore Digital communication strategy & Data analysis di Eni. Quest’ultimo ha richiamato la recente presentazione del nuovo portale eni.com per sottolineare alcuni profondi cambiamenti realizzati dall’azienda nel suo modo di comunicare. Tanto all’interno, ad esempio con il blog intranet che l’Amministratore delegato, Claudio Descalzi, usa come canale di comunicazione interno, quanto all’esterno, con “una grande operazione di linguaggio” per abbandonare “modalità da comunicato stampa” in favore di una comunicazione più semplice e immediata, oltre che con alcuni strumenti quali il motore di ricerca interno al sito, che non restituisce solo risultati testuali, ma anche immagini, documenti in formato elettronico o altri elementi che possano essere utili.
Ciorra si è invece soffermato sulle opportunità che l’era digitale apre in termini di condivisione e messa in rete di esperienze e conoscenze. Enel ha creato a questo proposito degli ‘Innovability hub’ al proprio interno, ha raccontato il dirigente. Si tratta di centri per l’innovazione, sparsi nei Paesi in cui il colosso italiano dell’energia è presente, che si mettono in contatto attraverso delle piattaforme digitali con Università, clienti, aziende partner e organizzazioni di vario tipo. Una condivisione di esperienze, conoscenze e idee che è volta a favorire l’individuazione di soluzioni innovative.
Innovazione che sta anche alla base di FacilityLive, l’azienda “considerata l’alternativa europea a Google”, dice la stessa fondatrice e presidente Mariuccia Teroni, spiegando che per questa iniziativa, oggi di successo, “all’inizio avevamo pensato di trasferirci nella Silicon Valley, luogo dell’innovazione per eccellenza”. Invece, ha proseguito Teroni, “quando abbiamo visto che l’Ue iniziava a lavorare per la costruzione del Mercato unico digitale, abbiamo intravisto in ciò una prateria di opportunità e abbiamo deciso di restare in Italia”.
L’aneddoto è stato salutato con orgoglio da Gozi, secondo il quale la sfida della politica è proprio “creare le condizioni per riuscire a dare a tutti la possibilità di provare” a realizzare la propria idea innovativa. “Non c’è alcuna certezza su quali saranno i lavori e le tecnologie da qui a 10 anni”, ha sottolineato Gozi, secondo il quale bisogna quindi “mettere i nostri giovani in condizione di creare quei lavori e le nostre aziende in condizione di creare quelle tecnologie”. Per riuscirci, ripete Gozi, “serve l’Europa come minimo”.