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    Home » Cronaca » Corte Ue: vietato incarcerare un clandestino perché viola una frontiera interna a Schengen

    Corte Ue: vietato incarcerare un clandestino perché viola una frontiera interna a Schengen

    "La reclusione è idonea a ostacolare l’applicazione della direttiva rimpatri e a ritardare il rimpatrio, pregiudicando quindi l’effetto utile della normativa”

    Ezio Baldari</a> <a class="social twitter" href="https://twitter.com/@eziobaldari" target="_blank">@eziobaldari</a> di Ezio Baldari @eziobaldari
    7 Giugno 2016
    in Cronaca
    migranti Schengen

    Bruxelles – La “direttiva rimpatri” proibisce che un cittadino di un paese non Ue, prima di essere sottoposto alla procedura di rimpatrio, “possa essere recluso per il solo motivo del suo ingresso irregolare nel territorio di uno Stato membro attraverso una frontiera interna dello spazio Schengen”. Lo stabilisce oggi una sentenza, su una causa intentata in Francia, della Corrte di Giustizia dell’Unione europea.

    Secondo i magistrati di Lussemburgo questo vale anche se questo cittadino, che si trova in una situazione di mero transito nel territorio dello Stato membro interessato, venga fermato in uscita dallo spazio Schengen e sia sottoposto a una procedura di riammissione nello Stato membro da cui proviene.

    La direttiva europea sul rimpatrio dei cittadini di paesi terzi il cui soggiorno è irregolare (“direttiva rimpatri”) stabilisce norme e procedure comuni applicabili negli Stati membri ai fini dell’allontanamento dal loro territorio di cittadini di paesi terzi il cui soggiorno è irregolare.

    La direttiva prevede che una decisione di rimpatrio debba essere adottata nei confronti di qualunque cittadino di un paese non Ue il cui soggiorno è irregolare. Dal momento della decisione, in linea di principio, inizia a decorrere un periodo per il rimpatrio volontario seguito, se necessario, da misure di allontanamento forzato.

    In assenza di partenza volontaria, la direttiva obbliga gli Stati membri a procedere all’allontanamento forzato mediante misure il meno possibile coercitive. Solo quando l’allontanamento rischia di essere compromesso, lo Stato membro può ricorrere al trattenimento dell’interessato, per una durata che non può in nessun caso superare i 18 mesi.

    Il diritto francese però prevede che i cittadini di paesi non Ue possano essere puniti con un anno di reclusione se hanno fatto ingresso irregolare nel territorio francese. Inoltre, in Francia, una persona indiziata di un reato, anche se tentato, punito con la reclusione, può essere privata temporaneamente della sua libertà al fine di essere mantenuta a disposizione degli inquirenti (fermo di polizia).

    Il 22 marzo 2013 Sélina Affum, di nazionalità ghanese, è stata fermata dalla polizia francese al punto di ingresso del tunnel sotto la Manica, mentre si trovava a bordo di un autobus proveniente da Gand (Belgio) e diretto a Londra (Regno Unito). Avendo esibito un passaporto belga recante la fotografia e il nome di un’altra persona ed essendo sprovvista di qualsiasi altro documento di identità o di viaggio a proprio nome, è stata sottoposta, in un primo tempo, a fermo di polizia per ingresso irregolare nel territorio francese. Le autorità francesi hanno poi chiesto al Belgio di riammetterla nel suo territorio.

    Poiché la signora Affum ha contestato la regolarità del suo fermo, la Cour de cassation (Corte di cassazione francese) ha chiesto alla Corte di giustizia se, alla luce della direttiva rimpatri, l’ingresso irregolare di un cittadino di un paese non UE nel territorio nazionale possa essere represso con la pena della reclusione.

    Nella sua sentenza, la Corte richiama anzitutto la sua giurisprudenza Achughbabian, sulla quale verte specificamente la domanda della Cour de cassation. Secondo tale giurisprudenza, la direttiva rimpatri vieta qualsiasi normativa di uno Stato membro che reprime il soggiorno irregolare mediante la reclusione di un cittadino di un paese non Ue nei confronti del quale non sia stata ancora conclusa la procedura di rimpatrio prevista dalla direttiva. In base a questa giurisprudenza, la direttiva consente tuttavia la reclusione di un tale cittadino nel caso in cui egli sia stato previamente sottoposto a tale procedura e continui a soggiornare in modo irregolare nel territorio dello Stato membro senza giustificato motivo. Inoltre, la direttiva non osta neppure a un trattenimento amministrativo finalizzato ad acclarare se il soggiorno di un cittadino di un paese non Ue sia regolare o meno.

    La Corte constata poi che l’ingresso irregolare costituisce una delle circostanze di fatto che può determinare il soggiorno irregolare ai sensi della direttiva rimpatri. La direttiva è dunque applicabile a un cittadino di un paese non Ue il quale, al pari della signora Affum, abbia fatto irregolare ingresso nel territorio di uno Stato membro e debba conseguentemente considerarsi in situazione di irregolare soggiorno. Di conseguenza, un tale cittadino deve essere assoggettato alla procedura di rimpatrio prevista dalla direttiva al fine del suo allontanamento e ciò fintantoché il soggiorno non sia stato, eventualmente, regolarizzato.

    La Corte rileva, inoltre, che le deroghe previste dalla direttiva non consentono agli Stati membri di sottrarre un cittadino extra Ue all’ambito di applicazione della direttiva a motivo del fatto che egli ha attraversato in modo irregolare una frontiera interna dello spazio Schengen (nel caso di specie, la frontiera franco-belga) o che è stato fermato mentre tentava di lasciare tale spazio (il Regno Unito, infatti, non fa parte dello spazio Schengen).

    Peraltro, il fatto che la signora Affum sia stata sottoposta a una procedura di riammissione nello Stato membro da cui proveniva (Belgio) non rende la direttiva inapplicabile al suo caso. Infatti, la riammissione ha semplicemente l’effetto di trasferire l’obbligo di applicare la procedura di rimpatrio allo Stato membro che deve riprendere il cittadino (nel caso di specie, il Belgio). “La reclusione di un cittadino di un paese non Ue, il cui soggiorno è irregolare – dice la Corte – , ritarderebbe l’avvio di tale procedura e il suo effettivo allontanamento e pregiudicherebbe quindi l’effetto utile della direttiva.

    Infine, la situazione di mero transito della signora Affum non osta all’applicazione della direttiva: in effetti, un cittadino di un paese non UE che si trovi a bordo di un autobus senza soddisfare le condizioni d’ingresso è senz’altro presente nel territorio dello Stato membro interessato (nel caso di specie, la Francia) e si trova pertanto in situazione di “soggiorno irregolare” ai sensi della direttiva, la quale non prevede alcuna condizione di durata minima della presenza o di intenzione di restare in tale territorio.

    Dal momento che la direttiva era applicabile alla signora Affum, questa, dice la Corte “non poteva essere reclusa per il solo motivo del suo ingresso irregolare nel territorio francese prima di essere stata sottoposta alla procedura di rimpatrio. Orbene, le autorità francesi non avevano neppure avviato tale procedura”.

    La Corte dichiara pertanto che, per le medesime ragioni esposte nella sua giurisprudenza Achughbabian, “gli Stati membri non possono consentire, in conseguenza del mero ingresso irregolare, che determini un soggiorno irregolare, la reclusione dei cittadini di paesi non Ue, nei confronti dei quali la procedura di rimpatrio prevista dalla direttiva non sia stata ancora conclusa, in quanto tale reclusione è idonea a ostacolare l’applicazione della procedura stessa e a ritardare il rimpatrio, pregiudicando quindi l’effetto utile della direttiva”. La Corte precisa che ciò non esclude, tuttavia, la facoltà per gli Stati membri di reprimere con la pena della reclusione reati diversi da quelli attinenti alla sola circostanza dell’irregolare ingresso, anche in situazioni in cui la procedura di rimpatrio non sia stata ancora conclusa.

    Tags: carcereclandestinimigrantiSchengen

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