Bruxelles – Delusioni e sorprese, bravura e magari anche un pizzico di fortuna. Gli europei di calcio, tra promesse non mantenute e risultati impronosticabili, rivelazioni e fiaschi, hanno sempre regalato storie da raccontare e ricordare. Quelli che si aprono il 10 giugno oltralpe ne offrono già almeno cinque, quante sono le cenerentole attese a Francia2016, come si chiamano in gergo le squadre alla prima partecipazione assoluta. Albania, Islanda, Galles, Slovacchia e Irlanda del nord, loro l’europeo di fatto l’hanno già vinto, perché già esserci, contro ogni aspettativa e dopo aver superato la concorrenza di nazionali più attrezzate per la qualificazione, ha il sapore di un successo. Arrivare fino in fondo non è facile e appare poco probabile, ma la storia della competizione insegna che anche gli outsider possono sognare e – perché no? – addirittura tramutare quel sogno in realtà. Albania, Islanda o Irlanda del nord campioni d’Europa? La competizione ammette simili scommesse, con l’album dei ricordi lì a ricordarlo.
L’ultima storia di grandi imprese l’ha scritta la nazionale greca, ad Euro2008, e come sempre avviene quando si parla di ellenici, le gesta calcistiche assumono i contorni di un poema epico. In Portogallo la selezione ellenica riservò l’albergo solo per il periodo della fase a gironi, nella convinzione di non poter mai andare oltre. La Grecia del resto era nello stesso gruppo dei padroni di casa dati come favoriti per la vittoria finale, insieme alla Spagna dei vari Iker Casillas, Fernando Torres, Carles Puyol, Xavi, la leggenda Raul, e con la Russia composta da molti di quei giocatori che da lì a un anno avrebbero vinto la coppa Uefa col Cska Mosca. Con quelle premesse nessuno avrebbe scommesso sugli ellenici, neppure gli ellenici stessi, che infatti lasciarono le camere dell’hotel ai turisti, perché la piccola Grecia era pronta a tornare a casa di lì a poco. L’avventura invece proseguì. La squadra superò la fase a gironi, e dovette cercare un nuovo albergo, per poter restare e preparare la sfida dei quarti di finale con la Francia campione in carica. Anche stavolta alloggio riservato per lo stretto necessario, con la testa più in aeroporto che al campo, dove Charisteas segnò poi l’unico gol dell’incontro. 1-0 Grecia e semifinali. La Grecia andò avanti fino a vincere, girando stadi e hotel. L’unico a crederci (o forse sperarci) fu il difensore Panagiotis Fyssas, che volle spostare la data del matrimonio a dopo la fine degli europei. Hai visto mai? Ebbe ragione lui. E vissero tutti felici e contenti.
Storia al di là delle previsioni anche per la Danimarca, vincitrice quasi per caso dell’edizione del 1992. Una favola, ma a lieto fine, come neanche Hans Christian Andersen avrebbe saputo scrivere. La nazionale danese neanche doveva partecipare a quel campionato europeo. Non si era qualificata, ma venne ripescata all’ultimo momento al posto della Jugoslavia, che non partecipò a causa della guerra. Mors tua, vita mea. Brutto da dire, ma andò così. La Danimarca arrivò in finale tra la sorpresa generale, superando i Paesi Bassi di Van Basten, Rijkard e Bergkamp, e avendo la meglio in finale sulla Germania Ovest campione del mondo in carica. Quando si dice che la palla è rotonda.
Una favola anche quella della Repubblica Ceca nel 1996, anche se solo quasi a lieto fine. Prima partecipazione assoluta a un Europeo, e immediata finale, già lì a contendersi la coppa. E campioni i cechi lo furono anche, sia pur per soli quindici minuti: tanto durò il sogno di una nazione e di una nazionale. In vantaggio al 58° con rigore trasformato da Patrick Berger, la “Cechia” venne raggiunta al 73° da Oliver Bierhoff, poi giustiziere ai supplementari. La coppa sfumò, ma l’Europa conobbe la scuola calcistica ceca, che portò all’attenzione di tutti club un giovane fino ad allora sconosciuto di nome Pavel Nedved.
Ancora più tempo fa, ci fu la volta del Belgio quasi campione. Correva l’anno 1980, quello degli europei “italiani”. Si attendevano i padroni di casa, ma in finale arrivarono i belgi. Un avvenimento, considerando la storia della di quella nazionale fino a quel momento. Il terzo posto a Euro72, l’europeo giocato in casa, fu l’unico risultato degno di nota di una nazionale mai veramente competitiva, e anzi sempre eliminata ai primi turni le volte che riusciva a qualificarsi per le fasi finali. In Italia gli italiani segnarono poco, i belgi due gol in più. Non molto, ma quanto bastò per far scattare la regola delle differenza reti e strappare la finale agli azzurri che tanto la volevano. All’atto conclusivo giunse l’undici in maglia rossa, che se la giocò fino all’88° minuto. Poi Horst Hubresh decise di cambiare il corso alla storia, che già correva verso i supplementari: 2-1 e Germania Ovest campione. Con il ricordo di un Belgio mai più visto.
Menzione speciale per l’Italia, mai capace di ripetere agli europei le prestazioni espresse ai mondiali. Sei finali in coppa del mondo, quattro vittorie, una nazionale che ha saputo scrivere la storia del calcio giocato di fronte al grande pubblico stentando invece nella più ristretta cornice continentale. L’unica vittoria nel 1968, grazie alla sorte, nel vero senso della parola. Il cammino fin lì trionfale degli azzurri si arresta in semifinale: 0-0 con l’Urss e lancio della monetina. Allora le regole per il passaggio del turno prevedevano questo. Testa o croce? Ci andò bene. Anche perché poi quella finale caduta dal cielo la vincemmo. A dimostrazione del fatto che la fortuna aiuta gli audaci. O anche solo i fortunati. E che non necessariamente contano gioco e tattica.