Bruxelles – Dimmi che numero 10 hai, e ti dirò chi sei. Nel calcio “il risultato può essere casuale, la prestazione no”, amava ripetere un allenatore fermo a una sua idea di calcio forse nostalgica, forse rivoluzionaria. Ma nel calcio in cui a numero corrispondeva ruolo, il 10 ha sempre avuto un significato tutto suo, ed era quello che più di altri era in grado di indirizzare risultato e prestazione. I più esperti lo chiamavano mezzapunta. Non un attaccante, ma neppure un vero centrocampista. Giocava lì, in mezzo alle linee, dopo quella di centro campo e prima di quella dell’area di rigore degli avversari. La tre-quarti di campo, insomma. E infatti il 10 era il trequartista. Dava una mano ai compagni dei due reparti: alleggerimento della pressione avversaria in mezzo al campo, apertura della via del gol per il centravanti. Un trascinatore dalle doti tecniche, l’imprevedibilità, assist e all’occorrenza anche gol. Un tutto fare, spesso, proprio per questo, con la fascia da capitano al braccio. Il numero 10. Tempi al passato, perché poi le maglie personalizzate hanno cambiato tutto, e i trequartisti oggi non necessariamente hanno sulle spalle il numero 10, che nell’immaginario collettiva resta però un punto fermo.
Agli europei di Francia2016 il 10 azzurro sarà Thiago Motta. Un italiano “naturalizzato” come prima di lui, molto prima di lui, José Altafini, Dino Da Costa, Antonio Angelillo, solo per citarne alcuni. Solo che una volta si definivano “oriundi”. Termini di un mondo che appare lontano, lontanissimo, e forse lo è dato che è terminologia del secolo scorso. L’ultimo “oriundo”, pardon, naturalizzato, che si ricordi è Mauro German Camoranesi, campione del mondo nel 2006. Chissà che non sia di buon auspicio e che porti bene a Thiago Motta, anche se in Italia non sembrano essere in molti a sperarlo. Anzi. Il paragone, del resto, non sorride al giocatore in forza al Paris Saint German, dove gioca con la maglia numero 21. Ma lì il 10 è stato conferito a un certo Zlatan Ibrahimovic, e strapparglielo facile non è. “C’era una volta il numero 10”, il titolo della telenovela aperta nel Belpaese. Scetticismi dettati da una storia glorosia che il calcio tricolore non sembra più in grado di riproporre. Neppure all’estero, dove Thiago Motta non è certo considerato un trascinatore in una squadra che annovera Verratti, Cavani, Di Maria, Pastore, e lo stesso Ibra.
In Italia il numero 10 è stato vestito da atleti del calibro di Gianni Rivera, Francesco Totti, Giuseppe Giannini, Alessandro Del Piero, Roberto Baggio, Michel Platini, Ruud Gullit, Diego Armando Maradona, Lothar Mattheus, Totò Di Natale. Ognuno ha fatto le fortune del proprio club e la gioia dei tifosi, entusiasmando spettatori e trascinando calciatori. Lo stesso vale per la nazionale. Roberto Baggio col 10 a mondiali americani, persi ai rigori nella finale dove ci trascinò proprio il “divin codino”. Alex Del Piero agli sfortunati mondiali di Francia (sempre i maledetti rigori…) e all’europeo del 2000, perso al 93°, quando sembrava oramai in tasca. Fu finale comunque, dopo quasi quarant’anni. Francesco Totti con il 10 ai mondiali di Giappone e Corea e soprattutto quelli di Germania del 2006 a noi tanto cari, e 10 pure all’europeo del 2004, dove però “il pupone” fece parlare di sé per lo sputo a Poulsen. Daniele De Rossi 10 agli europei del 2008, persi – ancora una volta – per colpa dei tiri dal dischetto. Antonio Cassano come Baggio, Totti e Del Piero agli europei dell’ultima edizione, dove l’Italia arrivò in finale da imbattuta. Ci pensò la corazzata spagnola all’ultimo atto a interrompere la striscia di risultati utili, ma a onor del vero vinse il più forte. Di fronte a queste precedenti in molti vedono in Thiago Motta un 10 “stonato”, assegnato a un giocatore in cui non si vedono né doti tecniche né caratteriali. Non un leader e neppure un fuoriclasse. Il simbolo di un Paese non più in grado di allevare talenti veri, a detta di molti. Se è vero che il calcio è uno specchio del Paese, questa nazionale, con questo numero 10, rispecchia i problemi della Penisola. Al campo l’ardua sentenza…