E’ un attacco diretto che dimostra il nervosismo con il quale alcuni Paesi e alcuni leader europei stanno vivendo la nuova politica della Commissione europea in materia di bilanci degli Stati membri. Oggi, in un’intervista collettiva pubblicata da alcuni giornali europei, il presidente dell’Eurogruppo Jeroen Dijsselbloem attacca direttamente e senza mezzi termini la politica della Commissione europea guidata da Jean-Claude Juncker.
Funzioni diverse, naturalmente esprimono anche approcci diversi. Se pure l’interesse generale è condiviso le strade giudicate più appropriate per raggiungerlo non devono essere necessariamente le stesse. Però questa volta Dijsselbloem, che fa lo stesso lavoro che Juncker ha fatto appena prima di lui sino a tre anni fa, sembra particolarmente innervosito e preoccupato.
“Sarebbe una cosa saggia se la Commissione Ue facesse un po’ più di attenzione alla sua credibilità”, ha detto il presidente dell’Eurogruppo secondo quanto riporta La Stampa, confessando che nelle procedure di coordinamento delle politiche europee di bilancio, “la maggiore apprensione è che il Patto di Stabilità venga rispettato”. Ammette poi che lui è “favorevole alla flessibilità” e che “ci sono buone ragioni per concederla”, però, sottolinea “devono essere sempre obiettive”. E dunque quando sente Juncker dire “che le regole possono essere diverse per la Francia”, gli sembra che “si danneggi la credibilità della Commissione come guardiano dei Trattati”, cosa che “genera inquietudine”.
Il tono è cortese, le parole tese. E probabilmente non è un caso che Dijsselbloem venga da un paese medio-piccolo del Nord Europa, zona da dove vengono tutti quelli che sostengono la linea dura del ministro delle Finanze tedesco Schauble e che hanno creduto nelle virtù salvifiche dell’austerità, praticata, anche se controvoglia, pure da Juncker quando era all’Eurogruppo. Sono stati sconfitti dai fatti. Le finanze pubbliche un po’ forse si sono messe a posto, ma in maniera precaria e soprattutto favorendo la permanenza di un’altissima disoccupazione, di un’economia che fatica a riprendersi e di un’inflazione che non riparte, contribuendo così a mantenere la pesantezza dei debiti pubblici.
Probabilmente quello di Dijsselbloem è solo un colpo di coda, quando tutto il castello sta crollando e addirittura è alle porte un alleggerimento del debito greco; cosa inevitabile da anni, ma contro la quale Berlino si è sempre fieramente battuta, seguita da tutti i suoi satelliti. Ora, poi, in Germania la situazione è delle più complicate: tra poco più di un anno si va a votare e gli attuali protagonisti molto probabilmente dovranno lasciare il passo a nuovi leader. Si evita di portare in Parlamento qualsiasi cosa che possa destabilizzare una maggioranza che tra una dozzina di mesi al massimo sarà di nuovo esplicitamente divisa in vista del voto e con lo spettro del successo del partito estremista di destra Afd.
Anche per questi motivi, oltre che per lo scarso peso politico di Dijsselbloem, che a sua volta rappresenta un governo piuttosto debole, le sue parole non hanno scatenato praticamente reazioni. Le condizioni per uno scontro istituzionale ci sarebbero state tutte, in altri tempi. Oggi invece la Commissione può andare avanti per la sua strada, poggiandosi sulle debolezze degli altri (che non è comunque una cosa sempre sana, ma questo è un altro discorso) e di fatto spodestando tutto quel gruppo di vicepresidenti ex premier nordici dei quali Juncker si era circondato all’inizio. Una cortina fumogena di sostenitori dell’austerità, ma troppo deboli, in realtà, per fermare la strada che Juncker, con l’altro olandese Frans Timmermans e il francese Pierre Moscovici, hanno deciso di intraprendere. Che è l’unica realmente praticabile.