Roma – Domenica, oltre 14 milioni di italiani saranno chiamati a rinnovare più di 1.300 amministrazioni comunali. Per il presidente del Consiglio, Matteo Renzi, dopo il voto “non ci saranno ripercussioni politiche in nessuno dei due campi”, né in quello della maggioranza di governo né in quello delle opposizioni, nonostante si voti pure nelle città più popolose, come Roma, Napoli, Milano, Torino, Bologna, Cagliari.
L’inquilino di Palazzo Chigi non si è speso anima e corpo in questa campagna elettorale. Ci ha messo la faccia, intervenendo a sostegno dei candidati del suo partito in tutte le grandi realtà, ma è apparso più determinato nel promuovere le ragioni del sì al referendum costituzionale di ottobre, la vera battaglia che decreterà, per sua stessa scelta, il futuro del premier.
Queste amministrative, però, qualche segnale politico lo daranno, a cominciare dalla partecipazione alle urne, un dato che da anni continua a calare. Sebbene osservatori come il sondaggista Renato Mannheimer indichino che l’astensionismo non avvantaggerà nessuno, è un dato di fatto che finora il Pd a guida renziana sia stato il partito che più è riuscito a mantenere consensi di fronte a una forte diserzione delle urne. Basti considerare le europee 2014, con il record del 40,8% di voti ottenuti quando solo il 57,2% degli aventi diritto si è recato ai seggi. Se anche questa tornata mostrerà un Pd resistente all’astensionismo – favorito dal lungo ponte per la festività del 2 giugno – Renzi avrà un segnale incoraggiante anche in vista del referendum di ottobre, dove non è necessario il raggiungimento di un quorum di votanti, ma sapere che sono potenzialmente gli avversari a soffrire di più le urne deserte è sempre un vantaggio.
Indicazioni più interessanti verranno però dai risultati delle urne. Il Pd si mostrerà in salute se riuscirà a mantenere Torino e Bologna, andare almeno al ballottaggio a Roma e Napoli, e battere il centrodestra unito a Milano. Per contro, non arrivare al secondo turno nella Capitale e nella Città partenopea, o risultare sconfitto nella metropoli dell’Expo 2015, e per di più proprio con Giuseppe Sala che dell’Esposizione universale è stato il regista, sarebbe uno smacco pesante. Farebbe addensare non poche preoccupazioni nella testa del premier, anche in vista del referendum.
Il voto di domenica sarà un test importante anche per il centrodestra. Roma e Milano saranno le due facce della medaglia per questa coalizione, che nella Capitale del Nord si presenta unita con il volto moderato di Stefano Parisi, mentre nella Città eterna è impegnata in un confronto serrato tra Giorgia Meloni, candidata di Lega e Fratelli d’Italia, e Alfio Marchini, sostenuto da Forza Italia. Una vittoria a Milano mostrerebbe che il futuro del centrodestra è il ritorno a un passato fatto di unità e moderazione, tanto più se a Roma né Meloni né Marchini raggiungessero il secondo turno. Una sconfitta ai piedi della Madonnina, magari con Meloni che arriva al secondo turno (o comunque supera Marchini) per la corsa al Campidoglio, darebbe invece slancio alla linea lepenista e antieuropeista di Matteo Salvini. A quel punto, il leader leghista guadagnerebbe definitivamente la titolarità (condivisa con Meloni) di una destra che difficilmente potrebbe conciliarsi, però, con il partito di Berlusconi, il quale in un recente incontro organizzato dal Ppe ha comunque confermato l’europeismo convinto della propria formazione politica.
Sul campo del Movimento cinque stelle, la partita si gioca per confermare di essere la vera forza antagonista del Pd, l’unica seriamente in grado di contendere a Renzi la guida del Paese. La strada per la conquista del Campidoglio, con la candidata Virginia Raggi, sembra spianata anche se servirà certamente il secondo turno. La conquista di altre città e il numero di voti che i pentastellati riusciranno a raccogliere a livello nazionale saranno una cartina di tornasole. Serviranno a capire se la formazione di Beppe Grillo è in grado di continuare la propria ascesa verso la conquista di Palazzo Chigi, o se si ripeterà la battuta di arresto subita dal M5s alle europee 2014.
Infine, queste amministrative serviranno anche a valutare lo spazio rimasto a sinistra del Partito democratico di Renzi. Gli esperimenti di candidature come quelle di Stefano Fassina a Roma e di Giorgio Airaudo a Torino daranno indicazioni sul peso che può avere una alternativa di sinistra al Pd. Se questi candidati arrivassero a un risultato in doppia cifra, il progetto diventerebbe molto attraente per la minoranza dem, alimentando il rischio di scissione nel partito del segretario-premier, che certamente non ne sarebbe rafforzato in vista della battaglia referendaria.
Per sapere quale degli scenari descritti sarà il più vicino alla realtà, basterà attendere lo spoglio di domenica notte. È uno scrutinio a cui certo l’Europa non guarda con la stessa apprensione riservata al referendum del Regno unito sulla Brexit, ma che comunque darà indicazioni sul futuro politico del Paese. Sarà un primo segnale per capire se, con la fiducia accordata a Renzi sulla legge di stabilità, Bruxelles ha scommesso davvero sul cavallo vincente per arginare l’avanzata dell’euroscetticismo.